Processo

Il killer di Donato Carbone chiede scusa alla famiglia

L'imputato ha addossato le colpe a se stesso e al presunto mandante: "Non ho saputo tirarmi indietro. E' stato l'errore più grande della mia vita".

Il killer di Donato Carbone chiede scusa alla famiglia
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Edoardo Sabbatino, il killer di Donato Carbone, il 63enne ucciso il 16 ottobre 2019 a colpi di pistola nel corridoio dell'autorimessa condominiale di via don Milani 17 a Cernusco sul Naviglio ha chiesto scusa alla famiglia.

"E' stato il più grande errore della mia vita"

Ieri lunedì 12 aprile 2021 al processo in Corte d'Assise al Tribunale di Milano era in programma l'udienza di uno dei tre imputati (gli altri sono Leonardo La Grassa, 62 anni di Cologno Monzese, considerato il mandante, e Giuseppe Del Bravoclasse ’79 di Roncadelle, Brescia, i quali però hanno rifiutato di sottoporsi all'esame del pubblico ministero preannunciando dichiarazioni spontanee). Edoardo Sabbatino, arrivato in Tribunale su una carrozzina, si è preso la scena, addossandosi la responsabilità di quanto accaduto e chiedendo scusa alla famiglia.

"Non lo conoscevo nemmeno tuo padre - ha detto prima ancora di iniziare a deporre rivolto alla figlia Angela Carbone, presente in aula come parte civile - Non mi aveva fatto nulla".

Poi ha incominciato la sua ricostruzione, con uno stile pacato, a volte irridente (tanto da aver fatto perdere la pazienza più volte al presidente della Corte Ilio Mannucci Pacini), altre teatrale. "Ha pensato tutto La Grassa - ha raccontato - Ce l'aveva a morte con lui perché era un usuraio, diceva. A me la Grassa aveva promesso di farmi entrare in un mercato importante di droga. Io gli avevo chiesto la migliore e lui sosteneva che come prezzi nessuno avrebbe potuto battermi. Però non mi portava mai nulla, nemmeno un campione. Alla fine sosteneva che il suo problema era Carbone. Andava eliminato. E io mi lasciai coinvolgere dicendo che se aveva un problema potevo aiutarlo. Poi non sono più riuscito a tirarmi indietro. E' stato l'errore più grande della mia vita e ne pagherò le conseguenze".

L'omicidio

Sabbatino, che ha spiegato di avere alle spalle 22 anni di carcere (La Grassa qualcuno in più) per reati di droga e rapine, ha raccontato di avere prima procurato la Opel Corsa rubata (l'auto poi utilizzata per il delitto) a La Grassa, ma senza sapere per cosa gli servisse. Poi che il mandante avrebbe voluto un'esecuzione per strada, nella quale lo stesso La Grassa avrebbe poi sparato il colpo di grazia.

"Invece io non volevo - ha detto - Così ho seguito Carbone fino sotto al box. Lì ho sparato mentre lui stava per scendere. Poi mi ha graffiato alla gola. Mi ha fatto cadere gli occhiali e la pistola e cercava di raccoglierla. Io tentavo di ricacciarlo nell'abitacolo. Così in quel momento non ho capito più nulla: ho preso l'altra pistola e ho sparato. Otto, dieci colpi. Non so. Erano attimi concitati. Ma la mia intenzione era di ferirlo, di sparargli alle gambe. La sua reazione mi ha colto alla sprovvista".

Sabbatino ha ribadito più volte che Del Bravo non c'entra nulla, anche se lo ha sempre accompagnato fedelmente a tutti gli appuntamenti che aveva con La Grassa, compreso quello dell'omicidio. "Stava nel parcheggio e mi aspettava - ha sostenuto - Dopo l'omicidio ha visto che ero ferito e mi ha dato un fazzoletto, ma non mi ha chiesto nulla".

Sostiene però di non aver ricevuto alcun compenso per il delitto. A lui interessava entrare nel mercato della droga con la cocaina che gli aveva promesso La Grassa.

Si torna in aula il 10 maggio.

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