"Ho preso il fucile e ho sparato verso di lei". Parla in aula Antonio Vena l'assassino di Alessandra Cità
L'autore dell'omicidio di Truccazzano ha raccontato in lacrime cosa è accaduto in quella terribile notte e si è detto pentito.
"Ho preso il fucile e poi ho fatto quello che non avrei mai dovuto fare nella vita". Al processo per l'omicidio di Truccazzano del 19 aprile 2020, oggi, lunedì 22 giugno 2021 in Corte d'Assise presso il Tribunale di Milano ha deposto Antonio Vena, l'assassino reo confesso dell'omicidio di Alessandra Cità, tranviera Atm di 47 anni.
A una fase cruciale il processo per l'omicidio di Truccazzano
Vena, dopo che nella precedente udienza la sua deposizione era saltata per un guasto tecnico, ha raccontato che era tornano da Bressanone (Bolzano) dove abita per cercare di chiarire i rapporti con la sua compagna, intenzionata a lasciarlo. Dopo cena la discussione però degenerò. Ha sostenuto che una presunta parziale ammissione da parte di lei sul fatto di avere una nuova relazione, le offese ricevute che Vena non ha voluto ripetere in aula gli avrebbero fatto perdere la testa.
"Mi crollava il mondo addosso - ha raccontato - Per me lei era la mia vita. Avevo investito tutto su di lei. Sono sceso nel seminterrato dove dormiva e ho preso dall'armadietto due fucili e un caricatore. E poi ho fatto quello che non avrei dovuto fare".
Ha raccontato che bloccò con del fil di ferro l'unica finestra della stanza, probabilmente con l'intento di attendere le Forze dell'ordine e barricarsi dentro, pronto anche a sparare a chi fosse intervenuto. Ha detto anche che però il suo intento era anche quello di togliersi la vita dopo il delitto. Particolari su cui il racconto non è stato limpido. Non fece né una cosa né l'altra:
"Sono sceso dalle scale con il fucile carico e ho sparato verso di lei nel buio - ha detto - Poi quando ho acceso la luce è come se fossi tornato in me e ho visto cosa avevo combinato. Ho appoggiato l'arma e sono andato a costituirmi dai Carabinieri".
Ha sostenuto di essersi pentito subito di quanto commesso e per questo ha scritto una lettera di scuse ai familiari (presente in aula la sorella della vittima con il marito). Ha pianto al termine della testimonianza dopo essere stato incalzato dalle domande del pm Giovanni Tarzia, volte soprattutto ad appurare se ci fosse premeditazione nel suo gesto. Il pubblico ministero si è soffermato molto infatti proprio su quel particolare della chiusura della finestra con il fil di ferro, per cercare di comprenderne la ragione, ma senza riuscire a chiarirlo in modo inequivocabile.
Si torna in aula per le conclusioni il 6 luglio.