Omicidio Carbone, figlia e vedova hanno deposto al processo
Sentita anche la donna che ha visto il killer in volto mentre stava fuggendo: "Aveva dei guanti neri e cercava di coprirsi la faccia con la mano".
Si è tenuta oggi lunedì 15 febbraio 2021 la prima udienza dibattimentale del processo per l'omicidio di Donato Carbone, ucciso a colpi di pistola il 16 ottobre 2019 nell'autorimessa sotterranea del condominio di Cernusco sul Naviglio dove abitava. E tra le toccanti testimonianze che si sono succedute c'erano quelle della figlia Angela e della vedova Natalizia De Candia.
Gli spari nell'autorimessa
"Mi trovavo sul balcone quando è successo - ha raccontato quest'ultima - Lui era uscito a fare la spesa. Ho sentito gli spari provenire dall'autorimessa. Non avevo capito che erano spari ma mi hanno allarmato. Provavo a chiamarlo al telefonino, ma non rispondeva. Così ho telefonato a mia figlia, perché mi ero allarmata". Angela era nel suo negozio di ricostruzione unghie a Pioltello in quel momento e aveva subito tranquillizzato la madre, sostenendo che si preoccupava sempre per nulla. Invece poi una vicina di casa l'avvisò di accorrere in via don Milani a Cernusco, perché era successo qualcosa di grave al padre. Quando arrivò, venne accolta dai Carabinieri: "Il maresciallo mi disse che a mio papà era accaduta la cosa peggiore che potesse avvenire - ha raccontato trattenendo le lacrime - Così collegai la telefonata di mia mamma e compresi tutto".
L'attività di usuraio
La pm Maura Ripamonti ha più volte insistito nel chiedere alle due donne se fossero a conoscenza di altre entrate della vittima. Perché Carbone era stato titolare di un'azienda uninominale di forniture per l'edilizia. Ma da qualche anno l'aveva chiusa per motivi di salute e non percepiva pensione. Entrambe hanno negato. Così Antonello Madeo, legale di Leonardo La Grassa, 62 anni di Cologno Monzese, imputato come mandante, ha chiesto conto alla figlia di alcune intercettazioni ambientali avvenute dopo il delitto, in cui a un amico di famiglia confidava di immaginare che in molti stessero brindano in quel momento, perché morto il creditore si estingue il debito. "Dopo la perquisizione in casa nostra ho scoperto dell'esistenza di alcuni assegni in bianco - ha risposto - Allora ho immaginato il tipo di attività che conduceva e ho dedotto che quelle persone sarebbero state felici della morte di mio padre".
La testimonianza di colei che ha visto il killer
Ha deposto anche la figlia di una residente del palazzo che, andata a trovare la madre, quel giorno si era trovata faccia a faccia con il killer. Anche se gli imputati non erano in aula, ma erano collegati in videoconferenza (ad eccezione di La Grassa, non presente), ha chiesto di essere coperta da un paravento perché non fosse visto il suo volto. Ha raccontato di come quell'uomo le abbia chiesto di aprirgli il cancello dell'autorimessa, mentre cercava di fuggire. Si era coperto il volto con la mano. "Mi ha colpito il fatto che indossava un guanto nero", ha detto. A causa dell'agitazione non ricorda molti particolari della faccia, ma aveva avuto la prontezza di annotare il numero di targa e comunicarlo ai Carabinieri. Anche se in quel momento non sapeva ancora ciò che era accaduto.
La ricostruzione del delitto dei Carabinieri
Ha chiuso la giornata la deposizione del maresciallo Pasquale Afeltra, della Squadra omicidi del Nucleo investigativo del Carabinieri del Comando provinciale di Milano. Ha mostrato le immagini del delitto (la vedova ha dovuto uscire per l'emozione, mentre la figlia non ha trattenuto le lacrime) e poi ha spiegato come grazie alle immagini delle telecamere sono risaliti a Edoardo Sabbatino, 58enne di Manerbio (Brescia), il presunto killer, e a Giuseppe Del Bravo, classe ’79 di Roncadelle (Brescia) che avrebbe aiutato nell'organizzazione. E poi allo stesso La Grassa, che era stato definito dalla vedova e dalla figlia un amico di famiglia, molto legato a Carbone sin dagli anni Settanta, quando abitavano tutti a Pioltello (e La Grassa gestiva un bar). Poi però nel 2017 i rapporti erano bruscamente precipitati per un affronto che Carbone avrebbe fatto nei suoi confronti, non essendo andato (per motivi di salute in realtà) al pranzo di festeggiamento dei 50 anni di matrimonio tra lui e sua moglie. Dopo il delitto i tre imputati si sono ritrovati in un bar di via Papa Giovanni XXIII a Cologno Monzese dove il filmato del circuito di videosorveglianza interno ha permesso ai militari di riconoscere le loro facce. Le telecamere ai varchi delle città invece hanno consentito di ricostruire i movimento delle vetture che avevano utilizzato, compresa l'Opel Corsa rubata che era stata utilizzata dal killer ed era stata poi abbandonata proprio nel parcheggio antistante il bar.
Si torna in aula il 23 febbraio.