Cronaca

Albignano, ergastolo all'assassino di Alessandra Cità

Massimo della pena per Antonio Vena, che aveva sparato con un fucile alla compagna nella notte tra il 18 e il 19 aprile dello scorso anno.

Albignano, ergastolo all'assassino di Alessandra Cità
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Ergastolo ad Antonio Vena per l'omicidio della compagna Alessandra Cità, avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 aprile dello scorso anno ad Albignano. Oggi, martedì 6 luglio 2021, è arrivata la sentenza di primo grado.

Uccise Alessandra Cità, condannato all'ergastolo

Non erano ancora le 15 quando dopo una breve camera di consiglio, il presidente della Corte d'Assise di Milano Ilio Mannucci Pacini ha letto la sentenza: Antonio Vena è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Alessandra Cità. L'uomo, originario di Gangi in Sicilia, viveva a Bressanone e lavorava come operaio in una fabbrica di box doccia. Da circa dieci anni intratteneva una relazione con la tranviera residente ad Albignano e originaria dello stesso paese dell'assassino. Un rapporto però in crisi: lei voleva lasciarlo e lui non accettava la fine della relazione. Aveva quindi imbracciato un fucile e, mentre Alessandra dormiva, le aveva sparato un colpo in faccia uccidendola. Oggi la corte ha accolto la richiesta avanzata dal Pm Giovanni Tarzia e ha riconosciuto l'omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dalla relazione affettiva.

La dura requisitoria del Pubblico ministero

Proprio il Pm Tarzia ha aperto l'udienza odierna (Il 15 giugno l'udienza era stata rinviata per un blackout, mentre la settimana successiva Vena aveva raccontato della notte dell'omicidio) con una dura requisitoria che ha ripercorso tutto l'iter processuale e ha fatto leva soprattutto sulla premeditazione. A sostegno della sua tesi, poi accolta dalla corte con la sentenza d'ergastolo, ha portato due temi apparsi centrali durante tutto il processo. In primis, le chiavi: Vena in pieno lockdown aveva lasciato Bressanone per scendere ad Albignano. Aveva chiesto ad Alessandra di prendere le chiavi di scorta dalla sorella raccontando di aver lasciato le sue in Alto Adige. Circostanza però smentita dai fatti. L'assassino aveva le chiavi con sé e secondo la ricostruzione del Pm aveva chiesto anche il mezzo di scorta per evitare che qualcuno potesse entrare in casa e in modo che lui potesse barricarsi al suo interno dopo l'omicidio. Sulla stessa lunghezza d'onda anche il secondo tema, vale a dire il fil di ferro con cui l'assassino aveva bloccato dall'interno il garage e alcune porte e finestre dell'abitazione. Sempre secondo quanto ricostruito da Tarzia, l'assassino aveva anche preparato l'arma con cui poi avrebbe sparato in modo da non correre il rischio di svegliare Alessandra.

"Per noi è un ergastolo ogni giorno"

In conclusione della sua lunga requisitoria Tarzia ha quindi chiesto il massimo della pena frutto delle aggravanti di premeditazione e legame affettivo, ma anche dell'assenza di attenuanti. Il Pm ha infatti sottolineato come a fronte di collaborazione e disponibilità durante il processo, Vena ha comunque più volte mentito in vari passaggi della sua testimonianza. Tarzia ha definito l'assassino "vendicativo e rancoroso" oltre che "socialmente pericoloso", facendo riferimento, come già accaduto durante le precedenti udienze, anche agli episodi che lo avevano visto protagonista nei confronti della ex moglie: l'aveva speronata e mandata fuori strada e in precedenza l'aveva aggredita a calci, pugni e morsi, causandole una frattura scomposta al braccio. Alla lettura della sentenza la sorella di Alessandra, Rosalba, è scoppiata in un pianto liberatorio.

E' il massimo che potevamo ottenere dalla giustizia italiana - ha sottolineato - Siamo soddisfatti e speriamo che ora paghi tutto ciò che deve pagare. Per noi è un ergastolo ogni giorno da quando Alessandra non c'è più. E' giusto che lui sconti la sua pena

Tra novanta giorni saranno depositate le motivazioni. Vena dovrà pagare le spese processuali e una provvisionale a tutte le parti civili, che è stata indicata in centomila euro per ciascuno.

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