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Visita in una casa rifugio: gli alloggi protetti per le vittime di violenza

Abbiamo visitato gli alloggi protetti, gestiti da Fondazione Somaschi, riferimento per la Rete antiviolenza Viola dell'Adda Martesana

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Limite, soglia, varco. Un cancello, una porta. A metà tra dentro e fuori, tra la vittima e il carnefice. Tra la violenza e la rinascita.
Alloggi protetti, quelli delle case rifugio, destinate a ospitare le donne, spesso insieme ai propri figli, nei casi di abusi e violenze più gravi.

Cosa sono le case rifugio?

Dopo un’attenta valutazione da parte del Centro antiviolenza, ruolo svolto dal Cav di Viola nel territorio dell’Adda Martesana, nei casi in cui sussista un pericolo reale e concreto per la propria incolumità e non ci siano soluzioni alternative presso amici e familiari, le donne possono accedere alla protezione in abitazioni sicure.
Insomma luoghi dove, insieme ai propri bambini, possono tentare di ricostruirsi una vita, andando a mettere le basi del proprio percorso verso l’autonomia e uscire così da una condizione di violenza.

"Da qui parte il riscatto per uscire dalla violenza e liberarsi dalla paura"

Le case rifugio si presentano come vere e proprie dimore, a indirizzo riservato o segreto, che ospitano a titolo gratuito mogli, madri, fidanzate o figlie che necessitano di allontanarsi per questioni di sicurezza dall’abitazione usuale. In queste strutture è infatti garantita loro protezione, indipendentemente dalla residenza e dalla cittadinanza, anche in assenza di denuncia alle autorità preposte per i maltrattamenti subiti.

La casa rifugio offre una copertura diurna esclusivamente con figure femminili dal momento che non è consentito l’accesso alla presenza maschile.Serve tentare di ricercare un equilibrio tra la normalità della casa, senza regole rigide, per restituire dignità alla donna e allo stesso tempo affiancare attività e laboratori funzionali allo sviluppo e al recupero della creatività. Gli appartamenti sono solitamente composti da stanze doppie o triple, in modo che una mamma possa stare vicina ai propri bambini. La parte in comune invece è relativa solo alla cucina, in modo da abituarsi allo stare insieme. Le stanze cercano di restituire una sorta di familiarità all’ambiente. E’ necessario riconquistare gli strumenti necessari per la propria indipendenza, psicologica prima di tutto, ma anche sociale, economica e lavorativa.

ha spiegato Martina Ziglioli, coordinatrice accoglienza donne di Fondazione Somaschi.

Un aiuto pratico è anche compito delle operatrici in casa rifugio.

Se le donne che accogliamo non sanno l’italiano possiamo accompagnarle nello studio della lingua. Oppure a chiedere i documenti nel momento in cui non ne hanno. Ma anche un supporto nella ricerca di lavoro o di ricollocazione per ragioni di sicurezza. All’interno della casa però vengono offerti dei momenti più creativi perché spesso la donna quando arriva non è più a conoscenza delle proprie competenze e desideri. Serve ritrovare anche questo attraverso strumenti che non siano colloqui verbali ma improntati alla creatività e all’arte.

ha concluso Martina Ziglioli.

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