Alessandra Cità: la Corte d'appello d'assise conferma l'ergastolo
Pena invariata per Antonio Vena, ma il giudice rimuove l'aggravante della premeditazione
Si è concluso ieri, mercoledì 2 marzo, l’Appello per l’omicidio di Alessandra Cità, la tranviera di 47 anni uccisa nella sua casa di Albignano, tra il 18 e il 19 aprile 2020, dal compagno Antonio Vena. Dopo la sentenza del giudice, l’uomo rimane condannato all’ergastolo anche se gli è stata tolta l’aggravante della premeditazione.
Antonio Vena: la tesi della difesa
Nessuno pretende uno sconto di pena, ma una pena giusta
Aveva detto qualche settimana fa l’avvocato Paolo Tosoni. Vena è il suo assistito. Il legale aveva intenzione di portare la pena a 25-30 anni di carcere, sostenendo che l’aggravante della premeditazione sarebbe infondata. Per lui la versione più accettabile è quella del raptus, che giustificherebbe anche la mancanza di segnali preoccupanti fino ai tragici eventi del 18 aprile
Durante il processo, la difesa ha anche contestato l’aggravante del rapporto sentimentale, che il giudice ha ritenuto valida. Proprio il permanere di questa circostanza ha fatto sì che la condanna all’ergastolo rimanesse invariata.
Il commento dell’accusa
La corte d’assise d’appello ha tolto la premeditazione. Tuttavia rimanendo l’altra aggravante, che pure comporta l’applicazione dell’ergastolo, ha mantenuto la pena.
Ha spiegato l’avvocato dell’accusa, Manuela Cigna. Per questo processo, il legale ha mantenuto l’impianto accusatorio così come era emerso durante il primo grado.
Parzialmente soddisfatta la sorella di Alessandra, Rosalba Cità.
La mia paura era che la sentenza fosse ribaltata, invece hanno confermato l’ergastolo. Come ho sempre detto, anche per noi ogni giorno è un ergastolo.
E' così che la famiglia vive la morte di Alessandra: un ergastolo che nessuna sentenza potrà mai cambiare.