Lo spunto

L'ex studente scrive ai maturandi: "Ripensiamo tutti a un nuovo concetto di scuola"

Fabio Meroni, ex studente del Giordano Bruno di Cassano d'Adda, ha preso carta e penna e ha scritto ai suoi ex colleghi di istituto affinché possano superare il momento di incertezza legato alla pandemia.

L'ex studente scrive ai maturandi: "Ripensiamo tutti a un nuovo concetto di scuola"
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Fabio Meroni, ex studente del liceo Giordano Bruno di Cassano d'Adda ha scritto una lettera motivazione rivolta ai suoi ex colleghi in procinto di affrontare la maturità per aiutarli a superare questo momento di incertezza.

Lettera motivazionale di un ex studente ai maturandi del Giordano Bruno di Cassano d'Adda

Cercare una diversa forma di rapporto con il concetto di scuola. Perché non è l'insieme delle persone ad avere abbandonato gli studenti, ma soltanto le sue aule e i suoi corridori.  Pensieri positivi, la voglia di guardare al bicchiere mezzo pieno di una situazione ancora molto incerta, pensando al futuro e a un nuovo modo di fare scuola. Facendo tesoro dell'esperienza vissuta lo scorso anno Fabio Meroni ex studente del liceo linguistico Giordano Bruno (è molto conosciuto a scuola per aver svolto l'incarico di rappresentante di istituto) ha preso carta e penna e ha scritto una lettera indirizzata ai suoi ex colleghi in procinto di affrontare l'esame di maturità. Una prova diventata ancora più incerta a causa dell'emergenza pandemica che ormai da oltre un anno ha completamente stravolto il mondo della scuola e non solo.

«Ripensiamo tutti a un nuovo concetto di scuola»

Il diciannovenne di Fara di Gera d'Adda, ora frequenta il primo anno all'Università di Bergamo, studia Lingue e letterature straniere moderne per i processi interculturali, ma i suoi pensieri sono rivolti ancora ai suoi ex compagni di istituto. Ha dato quindi vita a  una sorta di documento motivazionale ispirato dall'emergenza pandemica e dal conseguente lockdown che lo scorso anno lo portò, quando era in procinto di andare con la sua classe a Cracovia per la gita di fine anno, a rimanere confinato nella sua abitazione a seguire le lezioni con la didattica a distanza.

Cari maturandi tutti, care maturande tutte,

"Vi scrivo con grande affetto e apprensione, dedicando un pensiero a voi che state per affrontare un nodo cruciale della vostra esistenza in un momento storico così delicato.
Prima di tutto, da maturando nel 2020, voglio raccontarvi di come ho visto il mio ultimo giorno di superiori passarmi davanti senza nemmeno accorgermene.
Era il penultimo sabato di febbraio, un mese in cui il mondo è accaduto solo perché lo si è raccontato nei notiziari.
Uscito di casa, mentre percorrevo a passo svelto la strada verso la fermata, ripetevo tra me e me un po’ di Pascoli e un po’ di Verga, cercando di confortarmi in vista dell’interrogazione programmata che mi aspettava alla quarta ora.
Presi il pullman per un soffio e arrivai al liceo con la mia solita faccia stropicciata da prima mattina.
Intervenuta la fase Rem mentre salivo le scale, entrai in classe accolto dai saluti dei miei compagni e dai mattoni che hanno visto i miei primi peli di barba.
Dopo un intervallo a scherzare con i miei soliti tre sodali, alla quarta ora l’interrogazione di letteratura per cui mi ero a lungo preparato: lasciai la mano della mia compagna, forse più in ansia di me, feci un respiro profondo e mi sciolsi nella spiegazione.
Tornato al posto, tra una chiacchiera e un’analisi del testo, aspettai l’ultima campanella. All’uscita salutavo chi mi incrociava e, data una pacca al mio migliore amico, mi avviai verso il pullman che mi portava a casa sempre a orari diversi, bofonchiando ai continui ritardi di quei mezzi pubblici dai sedili polverosi e puzzolenti.
Dopo un piatto di pasta e un meritato riposino sul divano, feci quello che fa ogni giovane della mia età quando ha le mani occupate: presi il cellulare.
Due notifiche. La prima: cento e qualcosa messaggi nel gruppo Whatsapp della classe, una notifica che c’è praticamente a tutte le ore del giorno. La seconda: “avviso a tutti gli studenti, Pdf allegato”. Prestai poca attenzione sia al documento che al resto, e preferii godermi la gioia del mio voto pieno.
Ed ecco che mi accorgo che ignorare, in un mondo interconnesso mediaticamente come il nostro, è una cosa davvero difficile: quel foglio è già da alcune decine minuti l’argomento che aveva intasato la chat del nostro gruppo classe.
In breve? Una settimana a casa per tutte le classi, al fine di scongiurare il contagio da Sars-CoV-2. Seguono giorni vuoti, senza preavviso, come una vacanza a sorpresa che ti spezza in due il secondo quadrimestre a pochi giorni dal suo inizio.
La causa? Una malattia sì contagiosa, ma che ha fatto solo poche centinaia di contagi a febbraio 2019: tranquilli e fiduciosi nella scienza di cui sempre meno ci interessiamo, siamo rimasti alla mentalità del tacchino di Russell, che vedendosi portare il cibo tutti i giorni alla stessa ora crede di poter prevedere il futuro e dire che sempre accadrà così, quando invece il giorno seguente è il tacchino a sfamare il fattore e non più viceversa".

"Contro gli schermi, insieme ai compagni ho sbattuto la testa ben forte"

"Come la situazione inizia a degenerare, si aggiungono altre settimane di stallo in cui ci distraiamo con i nostri amici, e viva la libertà, finché la scuola non si arma per affrontare la necessità di fare lezione a distanza una volta capito che quella che sembrava poco più di un’influenza è diventata una pandemia.  Sono assalito da uno strano timore.
E penso che quel sabato 22 febbraio, mentre mi lamentavo dei sedili polverosi, liberato dall’apprensione per il voto di letteratura, guardavo dal finestrino la mia scuola svuotarsi: ero totalmente ignaro del fatto che non avrei mai più visto la porta del mio liceo vomitare disordinatamente tutti quegli studenti.
Uno spettacolo a cui ero aduso, di cui non ho mai colto la freschezza e la vitalità fino a quando per tre mesi il mio cielo è diventato un soffitto. Al vocabolario si era aggiunto lockdown. Contro gli schermi, insieme alle mie compagne e ai miei compagni, ho sbattuto la testa ben forte. Anche noi, i nativi digitali, quelli della generazione Z, ci siamo ritrovati faccia a faccia con i limiti di quegli schermi che prima esaltavamo per la loro capacità di connetterci, ma che abbiamo scoperto di odiare quando sono diventati l’unica, fredda maniera per la più basilare delle azioni sociali: comunicare.
Nella stessa settimana in cui avrei dovuto essere a Cracovia per il mio tanto atteso viaggio di maturità, ho sgomberato e riordinato per bene la mia scrivania, che tuttora rappresenta il mio banco da studente, la mia postazione di lavoro e talvolta anche il bancone del bar dove mi ritrovo con i miei amici più cari, tutto tramite PC.
Un giorno di aprile, annoiato a morte, mi sono ritrovato senza nemmeno accorgermene a tirare pugni al muro.
Con gli occhi gonfi e il culo quadrato, ridotto al limite della sopportazione, ho iniziato a cercare un senso a tutto quello che stavo facendo nella corsa verso la maturità più incerta della storia. E ho pensato a una cosa.
Allora e oggi, disancorati come si è da ogni rapporto con la scuola nella sua accezione più fisica, abbiamo bisogno di ritrovare l’elemento vivifico ed energetico della cultura.

"Riscoprire il carattere elettrico di certe letture"

"Dobbiamo riscoprire il carattere «elettrico» di certe letture e di certi pensieri che si insinuano in noi dopo la buona parola di un professore.
Non è più il tempo di impostare un dibattito su cosa sia un classico, su cosa significhi maturità, sui motivi per cui alcuni aspetti della didattica adottata oggi portino frutto e altri no.
Ormai dobbiamo cercare una diversa forma di rapporto con il concetto di scuola. Detto altrimenti, non è la scuola intesa come insieme di persone ad averci abbandonato, ma la scuola intesa come aule e corridoi. Una perdita simile sembrerebbe nefasta: in effetti, tutta quella dimensione porta con sé il piacere di poter condividere la propria avventura con i compagni, tra code infinite alle macchinette, risate e chiacchierate, portando tutti i giorni uno zaino sulle spalle e una buona parola nel cuore. Da un punto di vista storico, invece, tale situazione può essere trasformata in privilegio. Forse per la prima volta, dopo anni, alcune generazioni possono dirsi finalmente libere da ogni schema, e non più incatenate ai banchi come schiavi alla macina in un andirivieni malato, che può portare a fraintendere il significato di «scuola», e ad aggiungere alla sua definizione i muri e le cattedre.
Proprio questo venir meno di un atteggiamento normativo ci offre la possibilità di stabilire con la cultura un rapporto davvero libero; un rapporto che potrebbe ribaltare per la prima volta nella storia la nostra relazione con questo passato perpendicolare e con questo immenso promontorio di pensieri dei grandi che si erge alle nostre spalle. La scuola versa in un momento di crisi, ma proprio tale situazione può offrirci una straordinaria occasione: possiamo eleggere la scuola, che ora intendiamo in senso metafisico, a interlocutrice e mediatrice del nostro interesse verso il mondo. E sono convinto che questo porterà un cambiamento radicale anche quando torneremo abitualmente nella dimensione più materiale della classe, e lì fare lezione sarà una cosa nuova, del tutto diversa. Le potenzialità sono immense, e l’ampiezza della tradizione risulta troppo spesso sacrificata a scelte prevedibili. Il 2020 sembrava cancellare ogni speranza, ma doveva essere il mio anno, e lo è stato.

"Non abbiate paura. Questo è il trampolino per la vita nel mondo"

È così, care ragazze e cari ragazzi, che ho deciso di non lasciare che questo periodo renda il nostro sguardo verso il futuro come se questo fosse imperscrutabile e minaccioso.
Sognate e progettate, nel senso più latino del termine (pro-gettate, gettatevi in avanti!). Fissare degli obiettivi è il pane della vita, ed essere ambiziosi è il primo passo verso il successo.
Non abbiate paura. Questo è il trampolino per la vita nel mondo.
Quel che si prova a calcare per l’ultima volta la soglia del Liceo dopo l’esame, nell’ultima uscita in qualità di studente, è impossibile da raccontare. La maturità va oltre l’essere uno scritto, un orale o quant’altro si preveda. È un cocktail di emozioni, una flebo di adrenalina, un rito di passaggio da cogliere in tutta la sua magia.
In questi ultimi mesi ho scritto ad alcuni vostri insegnanti, quelli che erano miei insegnanti quando siamo stati colti in pieno dalla tempesta.
Anche se li ascoltate a volte superficialmente e distrattamente tra problemi tecnici e legittima noia da divano, fate tesoro di quello che fanno per voi, per cercare di mettere in ordine i vostri pensieri e per farvi affrontare l’angoscia del virus con il piacere della scoperta. Questa pandemia ha messo in primo piano anche la loro umanità. La scuola è diventata una cosa da umani.
Appassionatevi.
Quello che si dovrebbe domandare a un giovane studente come voi, come me, è passione e null’altro. E ancora, non abbiate paura.
Un giorno guarderemo la strada che abbiamo percorso con un misto di stupore e sollievo, e sarà la sensazione più bella del mondo.
Vi sorrido i miei migliori auguri".

Fabio Meroni

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