Parola al primario

Le montagne russe nella testa e nel fisico, viaggio alla scoperta dei disturbi bipolari

Lo psichiatra e direttore del Dipartimento di salute mentale Federico Durbano traccia alcuni elementi descrittivi e terapeutici nella gestione di questi disturbi

Le montagne russe nella testa e nel fisico, viaggio alla scoperta dei disturbi bipolari
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Il disturbo bipolare: cos’è e come si tratta. Queste le domande cui ha dato una risposta il direttore del Dipartimento di Salute mentale e delle dipendenze dell’Asst Melegnano Martesana, Federico Durbano.

Parola all'esperto, il dottor Durbano

"Tu mi fai girar, tu mi fai girar, come fossi una bambola. Poi mi butti giù, poi mi butti giù, come fossi una bambola...". La canzone di Patty Pravo è una canzone di amore deluso, ma rappresenta bene la instabilità fluttuante e ciclica che induce la malattia bipolare.

Che cos’è la malattia bipolare?

In termini molto generali si parla di malattia bipolare quando la persona che ne è affetta manifesta fasi alternanti di eccitazione (mania) o di inibizione (depressione). In realtà la situazione è assai più complessa e sfaccettata, anche se grossolanamente questi sono i descrittori utili alla diagnosi.

La mania è una condizione di eccessiva attivazione in diverse aree: il pensiero è accelerato, la parola è veloce e spesso a volumi non adeguati al contesto, i comportamenti sono caratterizzati da velocità, irruenza, accelerazione… Tutto sembra andare molto (troppo) bene, non ci sono limiti, tutto è possibile. Il sonno diventa inutile. I comportamenti ludici (sesso, gioco, attività fisiche spesso rischiose) sono esasperati. Le idee si accatastano le une sulle altre senza nessi logici, sono evidenti distraibilità, superficialità, incapacità a considerare in maniera adeguata le conseguenze dei propri comportamenti. L’umore (ovvero la tonalità affettiva di base del soggetto) è improntato all’euforia (a volte anche alla irritabilità, alla perdita di controllo delle emozioni che diventano estreme).

La depressione si caratterizza per rallentamento psichico, motorio, della volontà. Tutto diventa pesante, il futuro si colora di disperazione. La capacità di pensare si restringe, i temi del pensiero sono a contenuto negativo e pessimistico, si perde la capacità di programmare il futuro. Il flusso delle idee rallenta e si impoverisce, il soggetto è distratto perché centrato su temi interiori e quindi non memorizza (da qui la lamentela "non mi ricordo più niente»". Il sonno è disturbato e poco riposante. Il comportamento è caratterizzato da scarsa spinta all’azione, da senso di fatica. L’interesse verso le attività ludiche si perde, così come si contrae la voglia di stare con gli altri.

Questi due quadri, descritti in maniera estrema per pura chiarezza descrittiva, sono presenti in momenti diverse della malattia bipolare e prendono il nome di "cicli". Le loro frequenza e modalità di presentazione sono differenti in differenti soggetti, ognuno ha la sua caratteristica modalità di manifestazione della malattia legata a diversi fattori quali la genetica, lo sviluppo psico-sociale, l’esposizione a fattori di stress ambientali (soprattutto nelle fasi precoci di vita). L’unico elemento importante per la diagnosi è che ci sia stato almeno un episodio maniacale, senza il quale non si può fare diagnosi di malattia bipolare.

Quando ci si ammala?

In realtà sembra che la malattia bipolare sia associata ad un disturbo del neurosviluppo, quindi a una alterazione dello sviluppo "normale" del cervello che, di fronte a diverse cause (genetiche, tossiche, infiammatorie, ambientali), perde la capacità di flessibilità e di adattamento tipiche della fase evolutiva e prende un percorso distorto e deviato (perturbato). Almeno un terzo dei soggetti bipolari ha presentato la prima manifestazione clinica prima dei 18 anni. Quindi parliamo di una malattia precoce.

Ma parliamo anche di una malattia cronica: il disturbo bipolare è una malattia che dura tutta la vita. Quindi bisogna "gestirla" in maniera adeguata per ridurre l’impatto che può avere su diversi aspetti della vita (relazionale, lavorativo della salute fisica).  Non bisogna però spaventarsi quando si parla di "neurosviluppo": si tratta infatti non di una traiettoria ineluttabile verso la malattia, ma di una predisposizione che può, in determinate condizioni e contesti, trasformarsi in malattia. Molti sono i fattori di protezione, e quasi tutti passano da una adeguata "igiene di vita": ritmi regolari (il sonno è una "medicina" potentissima per il cervello), non abusare di sostanze, non esporsi a condizioni di eccessivo stress psicofisico (garantirsi sempre adeguati periodi di stacco), buone relazioni sociali, interessi variegati al di fuori del lavoro e dei ritmi familiari.

I fattori di rischio invece sono esattamente l’opposto, e particolarmente importanti nella fase di sviluppo del cervello (grossolanamente tra i 10 e i 18 anni, periodo di massima vulnerabilità). Bisogna quindi garantire ai nostri ragazzi una buona base di igiene di vita: insegnare l’importanza di corretti ritmi (soprattutto sonno-veglia), della vita attiva all’aperto e con adeguate relazioni sociali (senza demonizzare i media elettronici, ma cercando di moderarne l’uso allo stretto indispensabile), ma anche proteggerli dalla esposizione a condizioni di stress (violenze domestiche, tensioni relazionali).

Come ci si deve comportare?

Quando la malattia si manifesta bisogna intervenire: prima si interviene e migliore è il decorso. Purtroppo i dati ci dicono che gli interventi specialistici avvengono in ritardo, in media a 2 anni dai primi sintomi clinici. Questo lungo spazio non curato può favorire una cronicizzazione che incide negativamente sia sulla risposta ai trattamenti farmacologici sia sulla qualità della vita.
L’importanza di cogliere i primi segnali è quindi evidente: in età scolare devono essere accolte le segnalazioni che arrivano dal mondo della scuola, oltre che dalle osservazioni del genitore. In ogni caso è opportuno parlarne quanto prima con il proprio medico (pediatra di libera scelta o medico di medicina generale) per avere un primo confronto "tecnico". Anche una breve consulenza psicologica può essere utile a dirimere eventuali dubbi: di certo la valutazione finale è di competenza del medico specialista in psichiatria.

Il percorso di cura passa invariabilmente dall’assunzione di farmaci, sotto adeguato controllo specialistico, e da un intervento cosiddetto psicoeducazionale. Solo nelle situazioni molto gravi e con significative compromissioni deve essere assicurata una presa in carico più articolata che vede il coinvolgimento di tutta l’équipe del Cps.

Il trattamento più indicato è con i cosiddetti stabilizzanti dell’umore, la cui funzione è appunto quella di "stabilizzare" ovvero non appiattire, ma modulare le eccessive fluttuazioni dell’umore. Il trattamento deve essere continuativo, regolare, altrimenti è inutile se non dannoso. Il più efficace trattamento stabilizzante è quello con i sali di litio. Altri farmaci utili sono gli antiepilettici (in particolare i sali dell’acido valproico). In entrambi i casi deve essere garantita una adeguata concentrazione di farmaco nel sangue, quindi il paziente deve fare periodici controlli. Prima di prescrivere questi farmaci devono essere fatti controlli sulla funzione della tiroide, un esame emocromocitometrico, sull’equilibrio degli elettroliti e sulla funzione renale. Nel caso degli antiepilettici deve essere controllata anche la funzione epatica. Infine anche la funzione cardiaca deve essere valutata con un Ecg.

Questa batteria di controlli deve essere periodicamente ripetuta nel corso del trattamento. In alcuni casi può essere utile utilizzare anche i cosiddetti farmaci antipsicotici di seconda generazione, che hanno mostrato una capacità di modulazione delle fluttuazioni del tono dell’umore abbastanza buone.

Alla terapia farmacologica si deve associare anche un intervento psicoeducazionale (di gruppo o individuale), rivolto sia al paziente che ai familiari, per fornire le competenze necessarie alla corretta gestione della malattia, a sviluppare una sensibilità adeguata a cogliere i primi segnali di ricaduta, a sottolineare l’importanza di una corretta assunzione delle terapie e alla gestione di eventuali effetti collaterali.

La psicoterapia, intesa in senso stretto, non incide in maniera significativa sul decorso della malattia, ma potrebbe essere utile per percorsi mirati su specifiche fragilità o problematiche. Se ben trattato, costruendo un legame di fiducia con il Cps, il disturbo bipolare può avere quindi un percorso sufficientemente «tranquillo» da permettere una vita serena, un buon percorso lavorativo e una vita sociale soddisfacente.

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