Acufene: come gestire il problema e come ridurre i disagi per il paziente
Il dottor Mario Notargiacomo, direttore del reparto di Otorinolaringoiatria del presidio ospedaliero di Melzo, ha chiarito alcuni aspetti su un male inguaribile, ma non incurabile
Parola al dottor Mario Notargiacomo , direttore del reparto di Otorino-laringoiatria degli ospedali di Melzo e Gorgonzola, che ha affrontato nel dettaglio una problematica debilitante, psicologicamente oltre che fisicamente: l'acufene
Circa il 15% dei pazienti dell’ambulatorio di Otorinolaringoiatria lamenta la presenza di uno stesso problema: a volte è descritto come un fischio, altre volte come un ronzio, come uno scroscio di acqua continuo, altre volte invece come un rumore pulsante fastidioso. Questo disturbo è classificato come acufene (o tinnito), che non è una malattia in sé, ma un sintomo, che può dipendere da svariate cause.
Acufene, un problema molto diffuso
L’incidenza annuale degli acufeni in Italia si attesta intorno al 14% della popolazione adulta, arrivando fino al 24% negli adulti over 65. In almeno il 2% dei casi è avvertito in forma grave, cioè particolarmente disturbante, tanto da inficiare lo svolgimento delle normali attività e da alterare il sonno e il riposo. La prima distinzione da fare è capire se l’acufene è acuto (insorgenza da meno di 3 mesi) o cronico (presente da almeno 6 mesi), se è oggettivo (cioè udibile anche da un osservatore esterno, molto raro) o soggettivo (udito solo dal paziente) nella maggior parte dei casi. L’otorinolaringoiatra deve innanzitutto cercare di fare una diagnosi: valuterà attentamente il paziente, eseguirà un’adeguata anamnesi, prescriverà una prima batteria di esami volti a identificare adeguatamente il problema, cercando di individuare eventuali cause e soprattutto il grado di disturbo percepito dal paziente.
La diagnosi
I primi esami consistono nelle valutazioni audiologiche: in primis un esame audiometrico tonale, seguito da un esame impedenzometrico e, a volte, dall’acufenometria, che cerca di individuare intensità e frequenza dell’acufene. Questo ci aiuterà a capire se coesiste un problema uditivo in modo da indirizzare l’iter diagnostico verso altri accertamenti. Nei casi dubbi, dove è presente un deficit anche minimo della capacità uditiva, sarà discrezione del clinico approfondire con una risonanza magnetica della fossa cranica posteriore per escludere eventuali cause neuropatiche dell’acufene (che comunque sono molto rare). Importante, soprattutto nei pazienti più sofferenti, è la somministrazione del Test Thi (Tinnitus Handicap Inventory) che ci dà il grado di disagio sofferto dal paziente, valore importante anche come controllo dopo terapia.
Quali sono le cause
Le cause restano pressoché sconosciute in circa il 60% dei casi. Nella restante quota si associano patologie dell’orecchio, disturbi a carico dell’articolazione temporomandibolare, problemi di cervicoartrosi, alterazione vascolari e, in piccola percentuale (meno del 2% dei casi), malattie di tipo neurologico a carico del nervo acustico.
Una cosa che spesso i pazienti si sentono dire dal medico è che ci devono convivere senza che sia possibile una terapia adeguata: questo, oltre che scoraggiare il paziente e peggiorare la sua condizione emotiva, non è vero nella maggior parte dei casi. Intendiamoci, non esiste ancora la magica pillolina che fa passare tutto in qualche giorno, ma ci sono terapie che consentono una diminuzione dell’intensità dello stesso e un miglioramento della sintomatologia anche dal punto di vista emotivo (a tal proposito ricordo sempre a un congresso la similitudine esposta da un relatore che diceva: aver l’acufene è come essere a un aperitivo con amici e avere accanto una tigre famelica che ti scruta; per quanto cerchi di distrarti non riuscirai mai a ignorarla).
Ad esempio, se coesiste una perdita uditiva consistente, è utile la protesizzazione, che oltre a migliorare la performance acustica, riduce anche la percezione dell’acufene con un miglioramento del benessere. In caso di elevato grado di disagio, ci si può rivolgere a un team che aiuti il paziente con la terapia comportamentale (tecniche di rilassamento, istruzioni per l’igiene del sonno, riduzione dello stress legato alla presenza del tinnito). Ci si può avvalere anche della Trt (Tinnitus Retraining Therapy) volta a ridurre l’impatto del disturbo nella vita di tutti i giorni con l’obiettivo di ignorare l’acufene cercando di renderlo impercettibile o meno rilevante per il paziente (insegna a ignorare la tigre di cui sopra). Anche la Sound Therapy in cui la somministrazione di un suono esterno induce una riduzione della percezione del tinnito e dà sollievo può essere utilizzata, basta un semplice dispositivo riproduttore di mp3 o anche solo il proprio cellulare.
La terapia medica
La terapia medica si basa su farmaci che talvolta sono in grado di migliorare la condizione del paziente, ma che nella maggior parte dei casi non è risolutiva da sola. Si utilizzano farmaci neurotropi, estratti concentrati di gingko biloba, melatonina, talvolta benzodiazepine nei casi più gravi, che, se pur non avvalorati da dati scientifici esaustivi, nella pratica danno dei miglioramenti in una discreta percentuale di casi.
Insomma il problema è sicuramente complesso e impegnativo da risolvere, ma la speranza di migliorare questa condizione esiste e negarla al paziente non può che peggiorare la sua percezione del disturbo soprattutto dal punto di vista psicologico.