Acidità gastrica: come trattare le patologie connesse
Il direttore della Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva di Cernusco e Melzo analizza i farmaci connessi alla problematica: quali e quando usarli
Appuntamento settimanale con la salute. Questa settimana la parola va alla dottoressa Ivana Raguzzi, direttore dell'Unità operativa complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva degli ospedali di Cernusco sul Naviglio e Melzo, afferenti all'Asst Melegnano e Martesana.
Farmaci contro l'acidità gastrica
Le due principali classi di farmaci usate per trattare le patologie acido-correlate, come ad esempio la gastrite, la duodenite, l’ulcera gastrica, l’ulcera duodenale, la malattia da reflusso gastroesofageo e le sue complicanze (stenosi peptica ed esofago di Barrett) includono gli antagonisti del recettore H2 dell’istamina. Si tratta cioè di farmaci capaci di bloccare il recettore per l’istamina sulle cellule parietali gastriche (le cellule dello stomaco deputate alla produzione di acido cloridrico) riducendo quindi a loro volta il rilascio di ioni idrogeno e gli inibitori di pompa protonica, conosciuti ormai con l’acronimo di Ppi (Proton Pump Inhibitor) che inibiscono la pompa idrogenionica direttamente nella cellula parietale gastrica indipendentemente da una stimolazione recettoriale di membrana (contrariamente alle antagonisti del recettore per l’istamina).
È noto dal tempo che i Ppi hanno una chiara superiorità nel controllo dei sintomi e nella guarigione delle lesioni mucose secondarie all’acidità gastrica e quindi hanno rapidamente soppiantato gli antistaminici di tipo 2 nel trattamento di tali patologie. Infatti, gli antagonisti del recettore H2 dell’istamina hanno una breve durata d’azione (4-8 ore) e non bloccano completamente la secrezione acida gastrica postprandiale. Così, sono necessarie almeno due dosi giornaliere di farmaci per ottenere un buon controllo dell’acido. Inoltre, presentano un fenomeno di tolleranza che si sviluppa dopo due settimane di somministrazione ripetuta che risulta in una progressiva riduzione dell’efficacia.
Al contrario i Ppi riescano a controllare la secrezione acida basale e quella indotta dal cibo producendo una più completa e duratura soppressione acida gastrica (10-18 ore). Ma quali sono le patologie che necessitano di un trattamento con i PpiI?
Malattia da reflusso gastroesofageo (Mrge)
I Ppi sono diventati i farmaci di scelta nel trattamento di questa patologia perché sono più efficaci nel trattamento delle lesioni mucose (erosioni e ulcere), ma anche nel trattamento dei sintomi. Dobbiamo però considerare che i pazienti con Mrge solo in minima percentuale presentano un’esofagite erosiva poiché fino al 70% di questi hanno un’esofagite cosiddetta non erosiva, in acronimo Nerd (NonErosive Reflux Disease).
Grazie agli esami di fisiopatologia esofagea, in special modo alla pH impedenziometria, è stato possibile suddividere i pazienti con Mrge in tre sottocategorie:
- I veri Nerd che hanno un’esposizione patologica all’acido in esofago.
- I pazienti con esofago ipersensibile sia a riflussi acidi che non acidi, ma con una normale esposizione dell’esofago all’acido e una positività ai sintomi del reflusso (durante la ph-metria quando il paziente indica un sintomo è presente effettivamente un reflusso).
- I cosiddetti pazienti con esofago funzionale (Functional Heartburn -FH-) cioè pazienti che non hanno una malattia da reflusso e con un hanno sintomi correlati al reflusso.
È facile comprendere come i primi due sottogruppi beneficiano di un trattamento con i Ppi(coloro che hanno l’esofago ipersensibile solo però se hanno reflussi acidi) mentre tali farmaci non funzionano nel terzo gruppo di pazienti, cioè in coloro che presentano un esofago funzionale, e in quelli che presentano un esofago ipersensibile con reflussi non acidi.
Ma la terapia con i PPI deve essere data in maniera continua o al bisogno?
In maniera continua deve essere data nelle gravi forme di esofagite erosiva, in quelle con sintomi extraesofagei rispondenti ai Ppi, nell’esofago di Barrett e in quelli che presentano frequenti recidive alla sospensione del farmaco indipendentemente dalla presenza di erosioni esofagee. La terapia in caso di necessità è un’opzione attraente e molti studi hanno dimostrato l’efficacia di tale terapia soprattutto nei pazienti Nerd. Gli studi suggeriscono che i Ppi non sono capaci di ridurre la lunghezza dell’esofago di Barrett mentre alcuni studi dimostrerebbero l’eventuale riduzione del rischio di progressione da Barrett verso adenocarcinoma.
Eradicazione dell’infezione da Helicobacter pylori
Sappiamo che l’Helicobacter pylori colonizza circa la metà della popolazione mondiale ed è una causa di gastrite acuta, gastrite cronica e della maggior parte dei casi di ulcera duodenale. I regimi terapeutici di eradicazione prevedono l’utilizzo di almeno due antibiotici e una doppia dose di Ppi per 7-14 giorni. L’associazione Ppi-antibiotici ha reso possibile l’eradicazione in circa l’80%-90% dei pazienti.
Farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans)
I Fans riducono le difese delle mucose esponendole maggiormente alle lesioni dall’acido prodotto allo stomaco. Quindi, i Ppi somministrati per 8-12 settimane sono capaci di assicurare la guarigione delle lesioni mucose come mostrato in numerosi studi. Anche i sintomi dispeptici indotti dai Fans possono beneficiare del trattamento con i Ppi.
Patologie ipersecretive
La più conosciute e meglio caratterizzata è la sindrome di Zollinger-Ellison che è causata da un tumore producente la gastrina (gastrinoma) che comporta un’ipersecrezione gastrica. Al giorno d’oggi i Ppi sono i farmaci di scelta per la terapia antisecretiva e devono essere somministrati in maniera continuativa. Questi farmaci, infatti, sono capaci di controllare la secrezione acida e le complicanze della maggior parte dei pazienti con tale sindrome anche se molto spesso devono essere utilizzati ad alto dosaggio. È importante ricordare che la sospensione dei Ppi in questi pazienti può avere conseguenze drammatiche.
Dispepsia funzionale
È una sindrome che impatta significativamente sulla qualità di vita dei pazienti e che si caratterizza per uno o più sintomi localizzati nei quadranti superiori dell’addome e che rimangono non meglio caratterizzabili dopo un esame obiettivo di routine. Questi sintomi sono rappresentati dal dolore epigastrico, dal bruciore epigastrico, da nausea, sazietà precoce, pienezza postprandiale e gonfiore. Il ruolo patogenetico dell’ipersecrezione acida nel generare questi disturbi è stato escluso, ma la mancanza di valide terapie per questi sintomi così frequenti e problematici per i pazienti ha condotto i medici a utilizzare i Ppi nella speranza di un controllo sintomatologico. A dispetto, quindi, del minimo ruolo dell’acido gastrico in questa sindrome la letteratura conclude affermando che i Ppi potrebbero essere efficaci in alcuni pazienti con dispepsia funzionale e quindi è possibile raccomandare l’uso per un breve periodo, a bassi dosaggi, evitando trattamenti cronici. Inoltre, i sintomi dispeptici in tali pazienti possono essere associati a un esofago funzionale (Functional Heartburn -FH-) e/o a una sindrome dell’intestino irritabile