Danilo di Maggio un cittadino di Trezzo, è stato condannato a nove anni di reclusione, dal Tribunale di Monza per stalking ed estorsione Vittima dell’uomo una brianzola di 48 anni ricattata per un video a luci rosse.
Ricattata per un video hard: nove anni di carcere per due imputati
Come riportano i colleghi di Prima Monza, sono stati condannati a nove anni di reclusione Danilo Di Maggio e Antonio Rotunno (accusati di stalking ed estorsione), e a un anno e cinque mesi Gaetana Davì (mentre è stato assolto l’altro imputato Mario Bologna). I giudici hanno disposto anche l’obbligo a risarcire con 25mila euro la vittima. Una vicenda nata nel 2018, quando nella cassetta della posta condominiale dell’abitazione della donna, a Usmate, venne trovata dagli inquilini una busta con una chiavetta Usb contenente un video hard, e un biglietto: “Ecco quello che fa la nostra vicina di casa”. In un attimo, la reputazione rovinata, l’obbligo di cambiare casa, l’imbarazzo, il disagio personale e la frustrazione per la brianzola vittima di un classico caso di “revenge porn”, anche se all’epoca del fatto la legge sulla “illecita diffusione di immagini a sfondo sessuale” non era ancora entrata in vigore.
La triste e dolorosa vicenda
Uno degli imputati (Di Maggio, cittadino di Trezzo sull’Adda) aveva intrattenuto una relazione con la vittima fino a pochi mesi prima della spirale di ricatti denunciati dalla donna, assistita dall’avvocato Elena Franzoni. All’epoca del loro rapporto, l’impiegata usmatese credeva di aver trovato un partner che ricambiasse il suo affetto. Invece, lui sembrava interessato solo al denaro, come avrebbe avuto modo di capire in seguito. Nel 2018 le era stato chiesto di girare un video a luci rosse: lei con due uomini, con il fidanzato nella veste di “regista”. La vittima aveva accettato e così aveva preso forma l’incubo. Dopo aver realizzato il filmato, avevano cominciato a chiederle soldi che lei era costretta a prelevare, per timore che il contenuto del video venisse consegnato al padre, o reso pubblico.
L’incubo
Tra aprile e giugno 2018 le era stata incisa una croce sulla porta di casa. Le avevano fatto trovare un foglio con alcuni fotogrammi del video intimo. Le avevano inviato dei messaggi carichi di insulti e volgarità via whatsapp, sempre inerenti il filmato (“Ridicola, patetica, mi fai schifo” sono le parole meno pesanti riportate negli atti). Minacciavano, pretendevano denaro (“altrimenti ti roviniamo”) e poi avevano agito.
Le immagini (con i volti degli imputati coperti) erano state mandate al padre, e a 65 contatti di Facebook (amici, parenti, e colleghi di lavoro), e agli inquilini del residence di Usmate Velate dove la stessa viveva, prima di essere stata costretta a traslocare, che avevano ricevuto anche un biglietto dal contenuto diffamatorio. Ora la parola su una vicenda a dir poco incresciosa.