Picchiato per aver difeso una ragazza, il suo aggressore è libero
Il racconto di Luca, 40 anni, aggredito davanti agli occhi delle due figlie, ora costretto a casa dopo un'operazione alla gamba. "Fa male vedere che a pagarne le conseguenze sono solo io"
Solo e abbandonato. Così si sente Luca Battel, 40 anni, di Castelcovati (in provincia di Brescia), mentre dal divano di casa sua racconta una storia che ha dell’assurdo. Il volto ancora tumefatto, il piede fasciato e le stampelle appoggiate poco distante, dove può raggiungerle facilmente: "condannato" a mesi di riabilitazione fisica (ma anche psicologica) per aver preso le difese di una giovane donna. Il paradosso? Il suo aggressore, un cittadino ucraino di 24 anni, circola indisturbato per il paese.
La vicenda
Come riporta Prima Brescia, era la sera del 15 aprile 2023, verso le 23.
Io, mia moglie e le nostre due bambine, di 8 e 2 anni, stavamo rincasando in macchina, quando davanti a casa abbiamo visto due ragazze che stavano discutendo con un altro giovane
ha raccontato il covatese, metalmeccanico di professione e volontario dell’associazione Claun Vip Lago d’Iseo, che inizialmente era rimasto in disparte. La lite però è degenerata: prima le parole, gli insulti, poi le grida di aiuto di una delle due donne, a cui il ragazzo (il compagno di lei che non accettava la fine della relazione) aveva strappato di mano il cellulare per iniziare a sbatterlo violentemente per terra.
Arrogante. Cattivo. Sono le prime due parole che saltano in mente a Luca per descrivere il soggetto. Nonostante tutto, non ci ha pensato due volte.
Sono subito sceso dall’auto e mi sono messo in mezzo, dicendogli di vergognarsi, che era solo una ragazza, e di andare via: lui era visibilmente alterato (probabilmente era ubriaco, se non sotto l’effetto di altre sostanze) e mi ha minacciato: 'Io sono ucraino, ti ammazzo', mi ha detto.
Poi l’aggressione. Un pugno in faccia, tirato a tradimento quando Luca si era girato per dire alla moglie, che si stava avvicinando, di non intervenire.
Non l’ho nemmeno visto partire, mi sono accorto solo quando era a terra: ho sentito la testa picchiare sull’asfalto. Non so quanto sono stato incosciente, ma quando mi sono ripreso oltre al dolore al volto, ho visto il piede girato e la gamba fratturata.
Il primo pensiero è stato "me la sono rotta cadendo". Invece era opera dell’aggressore che, per infierire, si era accanito sul 40enne, inerme a terra. E se non fosse stato per l’intervento di un’altra persona, un amico venuto in soccorso delle due ragazze, forse si sarebbe scagliato anche sulla covatese.
Prima l’ospedale, poi la denuncia
In poco tempo la via si è riempita di sirene. Quelle dei carabinieri, avvertiti dalla moglie di Luca. Quelle dell’ambulanza che hanno trasportato in ospedale sia il 40enne che il suo aggressore, che nel frattempo le aveva prese.
Prima dell’arrivo dei soccorsi, nonostante la gamba sono riuscito a raggiungere l’auto e a metterla in garage: non so come ho fatto perché era già gonfia, probabilmente è stata l’adrenalina sapendo che le mie figlie erano ancora a bordo.
E purtroppo hanno assistito a tutta la scena.
Ne è uscito con una prognosi iniziale di 34 giorni e ci è rientrato il 28 aprile, quando è stato operato al piede: un bullone nell’osso, 19 punti e un lunghissimo iter riabilitativo, dopo il quale comunque non potrà recuperare del tutto la funzionalità dell’arto. E’ seguita una denuncia, presentata una decina di giorni dopo i fatti, ai Carabinieri della stazione di Castrezzato, per lesioni personali e minacce contro il giovane (un personaggio già noto alle Forze dell’ordine per episodi simili) che però circola ancora a piede libero. Come se nulla fosse successo: "l’ho anche incontrato". La beffa, oltre al danno: e questo a Luca è quello che fa più male.
"Lo rifarei, ma possibile che tutto questo sia giusto?"
Luca lo dice subito.
A tornare indietro nel tempo lo rifarei: se dovesse succedere a mia figlia, io vorrei che qualcuno facesse lo stesso prendendo le sue difese.
Ma un tarlo si è piantato nella testa, alimentato dallo stress causato dalle settimane di "carcere domestico", senza uscire, sapendo che la causa di tutto cammina liberamente per il paese, vivendo quella quotidianità che a lui ora è preclusa.
Non è semplice essere bloccati a casa, dover dipendere da mia moglie anche per le cose più semplici. Rende nervosi e anche la cosa più sciocca infastidisce, anche se non è colpa di nessuno: questa situazione mi sta cambiando, non ho vergogna a dire che probabilmente mi rivolgerò a uno psicologo.
Un disagio fisico e soprattutto emotivo. C’è la questione salute:
Tra un mese mi tolgono una vite e in teoria da settembre, dopo 4 mesi e mezzo dovrei cominciare a fare la vita di prima anche se non al 100%. Avevo appena cambiato lavoro e il contratto scade quando dovrei rientrare, non è detto che mi tengano: lo spero. Non so nemmeno se valga la pena avviare l’iter per chiedere un risarcimento, perché è un rifugiato e quindi probabilmente non ha nulla. Se tornassi indietro l’unica cosa che farei diversamente è parcheggiare prima l’auto nel garage, perché ora giustamente la mia bimba più grande, che ha visto tutta la scena, ha paura, non dorme e si alza per mettere l’allarme.
Per fortuna ci sono anche gli "angeli": le maestre, che le danno sostegno e la aiutano, ma anche i Carabinieri.
Uno in particolare, da quella sera, ci scrive spesso ed è anche passato di qui per far sentire al sicuro mia figlia: per questo non possiamo che essere riconoscenti a lui e al comando, che fa il possibile.
Ma un grazie va anche ai tanti covatesi e non, amici e conoscenti, che hanno scritto e sono passati per sincerarsi delle condizioni di Luca e dellla famiglia, così come all’ex sindaco Alessandra Pizzamiglio che, dopo aver saputo i fatti non ha mancato di esprimere la sua vicinanza con una toccante lettera.