TESTIMONIANZA

Medico e sindaco: una "battaglia" doppia

Fabio Calvi, primo cittadino di Rivolta d'Adda e medico, racconta la "sua" emergenza Covid-19.

Medico e sindaco: una "battaglia" doppia
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Un'emergenza di proporzioni mondiali vissuta nei pesanti panni del sindaco e del medico, un doppio ruolo che ha catapultato Fabio Calvi in prima linea contemporaneamente su due fronti, nell’estenuante lotta al Covid-19. Come il collega di Ghisalba Gianluigi Conti, anche il primo cittadino di Rivolta d’Adda è infatti un medico di famiglia. E in queste settimane al peso dell’assistenza ai suoi mutuati si aggiunge l’amministrazione della crisi economica e sociale che deriva dalla pandemia.

Com’è la giornata di un sindaco-medico in questa emergenza?

Per me, data l’infelice scelta di due mansioni “sbagliate” in questo periodo, la giornata è un po’ più complessa. La stanchezza, lo stress e la paura si fanno sempre più sentire. Da più di un mese mi sono autoisolato in una stanza della mia casa nella speranza di non contagiare i miei familiari, visto il contatto quasi costante con persone positive. Esco solo per andare al lavoro. Sono giornate difficili per tutti, soprattutto per gli ammalati, ma anche per la catena dell’assistenza la situazione sta raggiungendo limiti di rottura. Lo sfinimento è soprattutto psicologico, anche fisico, certo, ma quest’ultimo è sicuramente più sentito dagli operatori dei reparti ospedalieri o dai volontari delle ambulanze».

Anche i medici di base lottano in prima linea e si contano diversi decessi: ritiene che la sua categoria sia stata lasciata sola o quantomeno «disarmata?

La mia categoria, in questa come in tante altre occasioni, è stata mandata allo sbaraglio ad affrontare una situazione molto pericolosa e difficile, senza considerare che il contatto coi pazienti, prima, durante e dopo la malattia è soprattutto con noi medici di famiglia. Una classe bistrattata che adesso viene tardivamente presa in considerazione e che, a pandemia terminata, ritornerà a essere inquadrata come quella della «mutua». Non è un caso se tra i tanti sanitari morti e contagiati la componente dei medici di famiglia è molto alta. Per noi le protezioni sono arrivate in numero limitato e a partire da una settimana dall’evidenza del contagio. Da allora abbiamo limitato gli accessi diretti allo studio e aumentato il triage telefonico, riducendo al minimo le visite a domicilio. Potremmo contagiarci ed essere fonte di contagio. Con le scarsissime risorse strumentali e terapeutiche che abbiamo, deve prevalere la possibilità di fornire a distanza un supporto sanitario di indirizzo in caso di sospetto di contagio. Da quasi un mese svolgiamo attività di studio «bardati» con guanti, mascherina, camice protettivo, cuffia e occhiali. Non abbiamo sicurezza e materiali come gli ospedalieri ma cerchiamo di proteggerci al meglio.

Com’è la situazione a Rivolta?

Martedì (della scorsa settimana, ndr) sono arrivate le prime mascherine fornite dalla Regione per la cittadinanza, in numero inferiore rispetto agli abitanti, per cui dovremo individuare dei criteri per la distribuzione. Sono simili alle chirurgiche. Per volontari e Protezione civile invece abbiamo ricevuto dei dispositivi un po’ più efficaci, viste le loro competenze, ma finora a volontari e personale di servizio è stato fornito materiale DPI acquistato dal Comune. La pandemia ci ha colpito in modo molto più lento rispetto a paesi anche confinanti. Abbiamo avuto pazienti positivi, sintomatici ricoverati e non ricoverati e un numero importante di decessi, ma con dei valori, rapportati alla popolazione, ancora confortanti. Il momento critico in realtà è adesso, con persone positive e potenzialmente contagiose. C’è il rischio che il rilassamento porti a non rispettare le norme in atto.

L'intervista completa sulla Gazzetta della Martesana e sulla Gazzetta dell'Adda in edicola o in versione sfogliabile web

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