Ha visto e fotografato l'inferno del Covid: LA TESTIMONIANZA
Il racconto dell'esperienza vissuta da Martina Santimone, soccorritrice della Croce bianca di Cesano e curatrice del progetto Covid-19 per Areu.
Martina ha visto e fotografato l’inferno del Covid. Il racconto dell’esperienza vissuta da Martina Santimone, soccorritrice della Croce bianca di Cesano Maderno e curatrice del progetto Covid-19 per Areu.
Martina ha visto e fotografato l’inferno del Covid
Martina c’era. C’era quando le Terapie Intensive degli ospedali lombardi non avevano più un posto libero. C’era quando alla centrale operativa del 112 chiamavano i parenti degli ammalati, a casa, che non riuscivano più a respirare. C’era in aeroporto quando diverse decine di pazienti gravi sono stati trasferiti in Germania.
Il Coronavirus l’ha visto in faccia, anzi in molte facce diverse, esattamente come i medici e gli infermieri. Lei è una soccorritrice da oltre 15 anni attiva presso la Croce Bianca di Cesano, ma durante l’emergenza sanitaria ha fatto molto di più, contribuendo alla memoria storica e fotografica di questa pandemia che ha cambiato il mondo. Di professione fotografa, è stata infatti curatrice del reportage Covid-19 voluto dall’Agenzia regionale emergenza urgenza e proprio per questo ha trascorso i mesi di marzo e aprile, in pieno lockdown, tra ospedali, centrali operative, associazioni di soccorso e aeroporti. Sempre con la macchina fotografica in mano.
Il viaggio negli ospedali Covid
“Avere tanti anni di esperienza come soccorritrice sulle spalle mi ha aiutato, sì. Ma certamente a una situazione del genere nessuno era pronto. Ho visto e raccontato per immagini momenti davvero drammatici, per i pazienti e per il personale medico, infermieristico, volontario, stremato fisicamente e psicologicamente”.
In lei, come in tutti noi, ha lasciato il segno in modo particolare la Terapia Intensiva. Nei suoi scatti, frutto del lavoro al San Gerardo, al San Paolo di Milano e nell’ospedale di Cremona, trasuda tutta la sofferenza degli ammalati, ma anche l’attenzione, la cura, l’amorevolezza del personale sanitario.
I pazienti trasferiti
“Scioccante è la parola che meglio si addice a quello che ho visto – racconta Martina che ha avuto l’opportunità, anche, di seguire alcuni pazienti molto gravi nel trasferimento all’estero.
“Vedere l’aeroporto di Orio al Serio deserto e quei grandi aerei tedeschi trasportare i pazienti in Germania è stato davvero impressionante. Alcuni di loro non ce l’hanno fatta purtroppo, non sono mai tornati. Ma altri sì: è stato emozionante poter assistere al rientro di un paziente bergamasco che dopo oltre un mese in Germania è tornato in Italia ed è sceso dall’aereo con le sue gambe “.
Un ritorno alla vita dopo l’inferno del Covid che in migliaia purtroppo non hanno superato.
Quel duro lavoro al telefono
Ma c’è tutto un mondo dietro all’attività di soccorso che spesso non viene menzionato. Parliamo degli operatori delle centrali operative. “Ho fotografato anche loro – racconta Martina – che hanno svolto un lavoro difficilissimo nel periodo di piena emergenza. Con gli ospedali pieni e le ambulanze tutte fuori in servizio, dare assistenza e conforto ai parenti degli ammalati che affollavano di chiamate il 112 è stata dura. Spesso i familiari erano disperati e l’ansia degli operatori a mille. Anche solo una parola di conforto in quei momenti può fare la differenza nell’attesa dei mezzi di soccorso”.
La paura dietro la tuta
E poi ci sono loro. I volontari sui mezzi. “Noi in Brianza, nella tragedia, siamo stati meno toccati – sottolinea Martina. Ho parlato con tanti soccorritori del bresciano che in una notte facevano anche 9/10 uscite per pazienti Covid, finito un intervento ne iniziavano subito un altro. Senza sosta. Affrontavano ammalati spaventati, così come spaventati erano loro, sempre bardati dalla testa ai piedi, attenti a ogni gesto”.
Dopo il dramma
Oggi, lasciamo sul campo una tragedia infinita e cerchiamo di essere pronti, per quanto possibile, ad un possibile e già ventilato, nuovo aumento dei contagi in autunno. Ma intanto sulle ambulanze si continua a viaggiare. E lo stress da psicologico è diventato soprattutto fisico. “In piena estate operiamo ancora bardati dalla testa ai piedi – sospira Martina. E’ difficile, faticoso. Anche perché il rischio è sempre dietro l’angolo. Siamo diventati più “bravi” a gestire questa malattia, ma non certo a evitarla. In giro incontro ancora troppa gente che sottovaluta i rischi. E sbaglia. Serve ancora un grande senso di responsabilità”.