Chiesti 7 anni e mezzo e l’espulsione per l’addetto alle pulizie fiancheggiatore della Jihad
Il 49enne arrestato dalla Digos è accusato di associazione con finalità di terrorismo
Sette anni e mezzo di reclusione e l’espulsione dal territorio nazionale.
Questa la richiesta di condanna formulata dal pm ieri, venerdì, nei confronti di Mohamed Nosair, il 49enne egiziano, addetto alle pulizie del Quartiere Stella di corso Roma a Cologno Monzese, finito a processo, davanti alla Corte d’assise di Monza, dopo che nell’ottobre del 2023 era stato arrestato dalla Digos di Milano assieme a un 44enne italiano di origini nordafricane, Alaa Refaei, residente nel capoluogo brianzolo, che ha optato per la strada del rito abbreviato al Tribunale di Milano ed è stato già condannato a cinque anni di carcere.
Fiancheggiatori della Jihad
I due, considerati dagli inquirenti dei fiancheggiatori della Jihad e dello Stato islamico, sono accusati di associazione con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere.
Nosair, titolare di un permesso di soggiorno a lungo termine, da 16 anni in Italia, era dipendente di una società di servizi con sede a Brugherio, a poche centinaia di metri dal suo luogo di lavoro e domicilio (era stato infatti prelevato dai poliziotti proprio in corso Roma).
Nelle chat di Telegram l’ormai ex addetto alle pulizie del grande complesso residenziale di corso Roma postava audio e video di propaganda della Sharia, di attentati e decapitazioni. Documenti, trasmessi in aula, così violenti ed espliciti da provocare malori tra il personale del Tribunale addetto alla riproduzione.
Le indagini dal 2021
L’attività investigativa, coordinata dal pm milanese Alessandro Gobbis, aveva avuto inizio nell’agosto del 2021 quando, sulla base di acquisizioni d’intelligence e in seguito a quanto emerso in un altro procedimento penale, gli inquirenti avevano avviato approfondimenti nei confronti dei due indagati, entrambi iscritti a gruppi WhatsApp di matrice jihadista e riconducibili allo Stato islamico.
La Polizia aveva riscontrato l’utilizzo della Rete per una sorta di addestramento diffuso. Emerse un copioso materiale web inneggiante ad azioni terroristiche violente, in diversi casi con bambini protagonisti, la condivisione sui propri account Facebook di contenuti jihadisti (con commenti e like di approvazione su altri profili, la presenza su canali Telegram e gruppi WhatsApp direttamente riconducibili allo Stato islamico o a esso affiliati) e versamenti di denaro a favore di nominativi stanziati in Yemen e Palestina. Ma a subire minacce erano stati anche la premier Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, oltre a Benjamin Netanyahu.
Nel caso specifico del 49enne erano stati riscontrati circa dieci bonifici per un totale di poco superiore ai 1.000 euro a favore di donne «legate alla jihad», aveva sottolineato il gip nell’ordinanza che aveva portato al suo fermo.
«Tutelare la collettività»
«L’imputato è un padre di famiglia e non credo sia un terrorista - ha dichiarato il pm nel corso delle sue conclusioni - Ma ha scaricato questi video di propaganda e li ha condivisi e utilizzati, quindi devo tutelare la collettività». Accuse negate dai difensori, che hanno evidenziato come quelli dei due imputati non fossero stati altro che innocui proclami e che i pagamenti fossero a fini di beneficenza. Si tornerà in aula il 29 novembre. In quell’occasione è attesa la sentenza per Nosair.
non possiamo rimandarlo a casa. l'egitto non è un paese sicuro