in tribunale

Assassinio di Romina Vento, l'omicida depone in lacrime davanti ai giudici

Niente rito abbreviato: rischia l'ergastolo il 50enne che lo scorso 19 aprile ha annegato la compagna nell'Adda

Assassinio di Romina Vento, l'omicida depone in lacrime davanti ai giudici
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Come posso aver fatto una cosa del genere alla persona che amavo più di tutti? Romina aveva il diritto di essere felice e io gliel'ho tolto". Parla a braccio, la voce rotta, Carlo Fumagalli, durante l'udienza del processo a suo carico per il femminicidio della compagna Romina Vento, la sera del 19 aprile 2022, a Fara d'Adda come raccontano i colleghi di primatreviglio.

Reo confesso dell'ennesimo brutale assassinio maturato nel contesto di una separazione, è stato lo stesso Fumagalli, questa mattina, venerdì 10 marzo, a chiedere di fare "spontanee dichiarazioni" davanti alla Corte d'Assise del Tribunale di Bergamo, per spiegare cosa l'abbia spinto, undici mesi fa, a dirottare l'auto su cui viaggiava insieme alla compagna, facendola finire nell'Adda, e poi ad annegare la donna, 44 anni, tenendole la testa sott'acqua.

L'assassino - Carlo Fumagalli, 49 anni, di Vaprio, operaio di un'azienda tessile di Vaprio, la "Visconti di Modrone". 

La strategia per evitare l'ergastolo

Omicidio volontario con l'aggravante del rapporto di convivenza con la vittima: questo il capo d'accusa che potrebbe portare il 50enne originario di Vaprio, assistente dell'azienda tessile "Visconti Di Modrone", ad una condanna al carcere a vita, per il più brutale e spietato femminicidio che la Geradadda ricordi da anni a questa parte. Ma in un lungo monologo, a tratti un po' confuso, Fumagalli ieri mattina ha fatto di tutto per far percepire alla corte da una parte il pentimento, e dall'altra il fatto che quel gesto senza pietà, quella notte, fu l'esito di un lungo e tormentato malessere psichiatrico. La stessa mossa delle dichiarazioni spontanee, che probabilmente i suoi avvocati difensori Luca Bosisio e Carmelo Catalfamo hanno sostenuto, è probabilmente parte di una precisa linea difensiva, volta all'obiettivo di scongiurare una condanna all'ergastolo.

La vittima: Romina Vento, operaia di 44 anni al pastificio "Annoni" di Fara 

Negato il rito abbreviato

Già durante l'udienza preliminare, a novembre, i due avvocati avevano chiesto di procedere nei suoi confronti con il rito abbreviato, nonostante la legge escluda riti alternativi in presenza dell'aggravante del rapporto di convivenza con la vittima, aggravante che può prevedere l'ergastolo. Per farlo, avevano sollevato una questione di incostituzionalità della legge, che tuttavia ieri mattina il presidente della Corte Giovanni Petrillo ha ritenuto infondata, respingendo l'istanza. Si procederà quindi, salvo nuove modifiche della legge, con il rito ordinario. Anche se la difesa ha già anticipato che chiederà, di nuovo, l'abbreviato.

In aula parenti e colleghi

Questa mattina, in aula, il dolore ancora impresso sul viso, si sono presentati anche la madre di Romina Vento, Venerina Sofia e il fratello Luca, entrambi parti civili nel processo assistiti rispettivamente dagli avvocati Elena Radaelli e Matteo Anzalone. Non hanno parlato, per il momento, ma è possibile che intervengano nelle prossime udienze. Nel pubblico anche diverse amiche e colleghe di Romina, che lavorava al pastificio "Annoni" di Fara d'Adda. Tra le parti civili ci sono anche i figli, assistiti da Rachele Lodetti Cristina Maccari.

Una storia al capolinea

Fumagalli ha ricostruito, dal suo punto di vista, gli ultimi anni del rapporto con la compagna (i due stavano insieme dal 1997 e hanno un figlio e una figlia adolescenti. Nel 2018 il trasferimento da Vaprio a Fara d'Adda). Una storia che era entrata in crisi da circa "due anni" e che negli ultimi mesi prima di quell'agghiacciante notte di aprile, Romina Vento aveva deciso di chiudere.

"Non so perché, ora me ne rendo conto, da qualche tempo non le davo più importanza, non vedevo più i suoi bisogni. Io avevo i miei hobby, e mie passioni... - ha raccontato Fumagalli, parlando di Romina Vento - Già dall'estate percepivo qualcosa di diverso in lei, una specie di freddezza. Più mi avvicinavo e più lei si allontanava. Cominciai a sentirmi perseguitato".

Dopo l'estate, Fumagalli si rivolse ad uno psicologo. "Volevo recuperare assolutamente il rapporto" spiega. "Facemmo anche una seduta di coppia, e lei stessa ammise che la passione non c'era più".

"Smisi la terapia per farle capire che potevo uscirne da solo, da uomo"

Come si sia arrivati all'assassinio - un femminicidio "di scuola" - è purtroppo una storia già sentita: quella di un uomo che non accetta di perdere il controllo sulla compagna, che aveva deciso di liberarsi da una relazione finita e da un ambiente ormai "malsano", come ha ammesso lo stesso Fumagalli.

"Sono sprofondato sempre di più... Da gennaio a quella sera in cui ho fatto quel che ho fatto, avrò dormito due o tre notti. Mi sentivo spiato, temevo che qualcuno mi stesse ascoltando. Ora me ne rendo conto, in carcere: la mia mente era arrivata a zero". In quei mesi comincia anche la psicoterapia, ma poi la sospende. Dice che a Natale erano sereni, in famiglia, ma poco dopo che "ero distaccato dalla realtà, attorno a gennaio, febbraio. Non volevo che starle vicino, la assillavo e e creavo un ambiente malsano. Era finita, era chiaro, ma speravo in un miracolo. Così smisi di seguire la terapia, per farle capire che potevo uscirne da solo, da uomo".

"Io è giusto che soffra"

Fumagalli non ha parlato dell'omicidio. Quella sera, nella sua mente, sostiene, "è caotica, non so spiegarmela". "Omicidio" è un sostantivo che non esiste più: ne parla per perifrasi.

"L'atto che ho commesso... Non ci credo. In trent'anni non avevamo mai litigato - sostiene - Uno può pensare che in carcere ci si abitui, ma io ogni giorno sento un peso maggiore. Forse se mi fossi accorto prima delle sue esigenze, non l'avrei persa".

"Oggi vedo le mille strade che si potevano percorrere da separati"

Una maturazione che non la riporterà indietro.

"Oggi vedo le mille strade che si potevano percorrere anche da separati, magari in modo più felice e più complice - continua - Io è giusto che soffra: in cella non parlo più, non vivo più. Sto in branda, guardo la tv, e penso solo a quello che avrei potuto fare, a cosa ho fatto, e al dolore che ho causato. Lei aveva il diritto di essere felice, e il glielo ho tolto".

"Il perdono è impossibile"

Fumagalli si è poi rivolto ai parenti. "Penso molto anche a loro, che mi hanno sempre accolto come un figlio. Il perdono, lo so, è impossibile". E ai figli: "Come posso andare da loro e dire "Ti voglio bene, mi mancate". Ho tolto loro la mamma".  Ieri mattina, in aula, non è stato sentito alcun testimone: la corte ha acquisito le testimonianze agli atti, e ha aggiornato l'udienza al prossimo 12 maggio.

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