Ora parla il cacciatore: "Anche noi amiamo la natura"
L'inizio della nuova stagione di caccia riaccende il dibattito sulla liceità di questa disciplina, a Pozzuolo un cacciatore condivide la sua opinone
Ogni anno l’apertura della stagione di caccia si accompagna riaccende il dibattito sul destino di questa disciplina, un pezzo di storia molto legato alla tradizione contadina, del quale spesso nonni e bisnonni sono gli ultimi baluardi.
Un cacciatore pozzuolese si racconta “Anche noi difendiamo la natura”
Avevo 16 anni quando ho incominciato. Andavo con mio padre, i miei cugini e altri parenti. Mi piaceva vedere i cani in azione e la selvaggina, che all’epoca era abbondante. Cacciavamo tutti insieme, poi dopo qualche ora si mangiava all’ombra di una pianta, ci si riposava e poi si continuava per ancora un’oretta
Questo il racconto di Roberto Anelli, guardia venatoria e cacciatore che ha voluto cogliere l’occasione per mostrare l’altro volto della caccia, ora molto più regolamentata rispetto a quando ha imbracciato il fucile per la prima volta. Tra permessi, iscrizione alla Atc (Ambito territoriale di cacca, la porzione di territorio in cui si è autorizzati a cercare e catturare selvaggina) e porto d’armi, praticare questa disciplina può arrivare a costare anche mille euro all’anno.
Noi cacciatori tuteliamo l’ambiente - ha spiegato - Se la natura entra in crisi, significa che non possiamo più praticare la disciplina. Non cacciamo più di quanto è permesso. Non spariamo se non siamo sicuri di colpire il bersaglio perché significherebbe ferirlo e farlo soffrire.
L’opinione di Elisa Cezza, animalista
Se per il passato posso comprenderne le ragioni, si era in tempi di guerra e c’era una base sociale e culturale diversa rispetto ad oggi, ora fatico a vedere la funzionalità della caccia.
Per Elisa Cezza, cittadina di Pozzuolo, referente della Lega del cane e responsabile degli Uffici per i diritti degli animali dei Comuni di Gorgonzola e Vimodrone, la caccia diventa sempre più difficile da praticare, perché non compatibile con la realtà che viviamo, dove gli spazi si fanno sempre più antropizzati e dove la sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali è molto diversa rispetto anche a solo 10 anni fa.
C’è un’altra questione che riguarda la pratica venatoria e che sta molto a cuore all’animalista: le condizioni dei segugi. Non sono rare le segnalazioni di casi in cui questi cani sono tenuti in campagna, chiusi in box di dimensioni inadatte o in cattive condizioni igienico sanitarie.
Anche questi animali possono essere tenuti in casa - ha concluso Cezza - Andare a prendersi cura di loro per un paio d’ore e lasciarli da soli tranne nei giorni in cui si esce non è sufficiente. Certo la loro indole è cacciare, ma questo non significa che se non sono coinvolti in tali attività soffrono.
Quale futuro per la caccia?
Per Cesare Bertoni, anche lui guardia venatoria, il problema più grande riguarda le specie migratorie, sono questi gli animali più minacciati dalla caccia.
A luglio, ad esempio, quando la Lac (Lega per l’abolizione della caccia) ha chiesto e ottenuto che alcune specie non possano essere abbattute se non a partire dall’1 ottobre. Un provvedimento preso per tutelare uccelli come l’alzavola, i cui piccoli, nati a giugno, per le prossime due settimane non saranno ancora indipendenti perché hanno appena imparato a volare e continuano ad avere bisogno dei genitori per procacciarsi il cibo.
Per questo per Bertoni, la soluzione per continuare questa tradizione potrebbe essere limitare l’attività alla sola caccia a esemplari in selezione, ovvero quella che consente di eliminare animali in sovrannumero, abbattendo gli animali malati, vecchi o non più in grado di riprodursi.
Cacciatori rispettosi dell’ambiente? Certo ci sono persone che si danno da fare - ha ammesso Bertoni - La mia opinione, però, è che, se non si interviene, tra 10 anni non vedremo un uccello volare in cielo a causa del peggioramento delle condizioni dell’ambiente e dell’esplosione delle monoculture
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