La storia

Ha perso un arto a 17 anni, ma non il cuore: Maddalena è una campionessa di sci. Con un sogno da inseguire

Maddalena Codevilla, 23enne di Brugherio, è stata protagonista di un terribile incidente stradale che le ha comportato un danno permanente. Ma non ha perso la grinta e la voglia di mettersi in gioco

Ha perso un arto a 17 anni, ma non il cuore: Maddalena è una campionessa di sci. Con un sogno da inseguire
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Ci sono ostacoli che a volte possono sembrare insuperabili, momenti che ti cambiano la vita in maniera definitiva. C’è chi non vede più futuro e chi invece prova a rinascere. Il passato non si può cancellare, ma il futuro è un libro bianco da scrivere. Lo sa bene Maddalena Codevilla, 23 anni, sciatrice, studentessa, ragazza di Brugherio (ma cresciuta nel quartiere San Felice di Segrate) che neanche 17enne si è vista crollare il mondo addosso. Ma ha trovato la forza per rialzarsi, per indossare di nuovo gli sci e tornare a sfrecciare tra i pali. "Anche se con un pezzo in meno", come ha raccontato lei stessa.

Come nasce la tua passione per gli sci?

Li ho messi la prima volta prestissimo, a due anni e mezzo, in trentino sul Monte Bondone. E’ stato mio papà a portarmi sulla neve e vedendo che ero portata ho fatto il classico percorso cominciando con la scuola sci per poi passare alle prime gare quando avevo 5 o 6 anni. Sono sempre stata molto attiva e ho praticato tanti sport, ma il mio amore era la neve e la montagna. A 4 anni ero già iscritta a uno sci club e tutti i weekend i miei genitori mi portavano su per gli allenamenti o le gare. Diciamo che da adolescente il mio sogno era di gareggiare, proseguire nel mondo dello sci e magari un giorno diventare allenatrice.

Tutto è cambiato il 13 gennaio 2016.

Frequentavo la terza liceo in una scuola di Milano. Erano circa le 15 e stavo viaggiando in centro in moto insieme a mio papà quando un camion ci ha tagliato la strada. Non mi sono resa conto di niente. Sono finita sull’asfalto e la mia gamba sinistra è rimasta sotto il veicolo. Siamo stati portati all’ospedale Niguarda, mio padre era in coma. Io sentivo un forte dolore alla gamba. Mi ricordo di aver pensato “Cavolo, non scierò mai più”. Non mi sono accorta dei problemi al braccio sino a quando non ho provato ad alzarlo ed è ricaduto su se stesso senza che io sentissi nulla, come se fosse “morto”. Gli esami strumentali hanno riscontrato 15 fratture scomposte piede-caviglia e diverse anche al braccio destro. Sono stata in ospedale per due giorni, poi sono ritornata a casa ingessata: per cinque mesi ho tenuto il gesso alla gamba, per tre all’arto superiore. Avevo solo le dita della mano libere e mi rendevo conto di non avere alcuna sensibilità.

Da lì è iniziato il tuo calvario...

Ho subito tredici interventi chirurgici nel giro di quattro anni e mezzo. La gamba ha ripreso la sua funzionalità, sono tornata a camminare, il braccio invece no. Ho iniziato a fare esami, risonanze e visite per capire la causa sino a quando sono risaliti alla componente nervosa. Alla fine la diagnosi è stata definitiva: plagia dell’arto superiore destro. In sostanza come se fossi amputata di una parte del mio corpo. Convivo da allora con dolori fortissimi, neuropatici e quelli che sono riconducibili alla sindrome dell’arto fantasma. Tutt’ora devo sottopormi a diverse terapie giornaliere, assumo farmaci, ho controlli continui e settimanalmente devo recarmi in ospedale per le valutazioni nervose e per essere seguita dai dottori. Ho avuto la fortuna di essere portata in un Grande ospedale, con la “G” maiuscola come dico io. Devo tantissimo ai medici e al personale del reparto di Ortopedia e Traumatologia e dell’Unità spinale del Niguarda di Milano che sono stati davvero degli angeli e che tuttora mi seguono e mi stanno vicini.

Un incidente che ti ha sconvolto la vita quando eri ancora giovanissima. Come hai reagito?

Perdere un arto a 16 anni è un trauma grande, inoltre mio papà è rimasto per mesi in coma. Così mi sono dovuta arrangiare subito da sola, anche perché di carattere sono una ragazza che non ama chiedere aiuto. E’ stata una questione di necessità: ho dovuto imparare a fare tutto usando un braccio solo, per di più ero destra e mi ritrovavo a poter contare solo sulla mano mancina. Non credo di aver mai accettato al 100% la mia menomazione e tuttora il percorso prosegue, vivo ancora momenti di sconforto e l’incidente ha sicuramente cambiato la mia esistenza sotto tanti punti di vista. Per esempio per quanto riguarda le amicizie: tante persone che erano al mio fianco se ne sono andate, mi dicevano che “non ero più come prima”. Sono stati periodi difficili per me. Devo dire grazie ai dottori e a mio padre: in alcuni momenti sono stati anche duri, ma mi hanno impedito di piangermi addosso e di lasciarmi prendere dallo sconforto. Ho dovuto imparare tutto di nuovo da zero e per questo dico che dal giorno dell’incidente è cominciata la mia seconda vita.

Quando hai pensato di ritornare sugli sci?

A essere sincera non volevo più sciare. Nonostante i danni subiti alla gamba mi consentissero di indossare gli sci, il pensiero di non poter più raggiungere il livello che avevo prima dell’incidente era per me un blocco, un ostacolo insormontabile. Sono stati i miei medici a insistere, sino ad arrivare a obbligarmi. Era il febbraio 2018, due anni dopo, quando mio papà mi ha portato sulla neve al Tonale. Il primo impatto non è stato positivo: non potevo più usare un bastoncino, il mio equilibrio era cambiato e il raffronto tra quella che ero nel presente e il mio passato da sportiva mi pesava sino a portarmi alla certezza di non voler sciare mai più.

Però chi era al tuo fianco non si è arreso...

Infatti, hanno insistito sino a quando non ho scelto di provare a cercare uno sci club che potesse seguirmi. Così sono entrata in contatto con il Milano Ski Team e in particolare con gli allenatori Andrea Fontanella, Davide Orsini ed Erika Pozzi. Stavano creando questa nuova squadra e mi hanno aperto le porte. Sono tornata ad allenarmi con ragazzi normodotati e il mio essere paratleta non è mai stato un limite. Anzi. Io e i miei allenatori siamo cresciuti insieme, tecnicamente e umanamente.

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Sino a quando è arrivata una chiamata inaspettata...

Era il settembre 2018. Mi squilla il telefono e dall’altra parte della cornetta c’era Davide Gros, l’allenatore della squadra nazionale paralimpica di sci alpino. Era venuto a conoscenza del mio passato da sciatrice e della mia volontà di riprendere con la disciplina. Così sono entrata nel giro degli atleti osservati dalla Nazionale, quindi ho preso parte ai raduni e ho conosciuto i compagni di squadra che sono diventate figure fondamentali per la mia vita: in particolare Davide Bendotti e René De Silvestro, atleti della Squadra A che mi hanno aiutato nel percorso di accettazione e consapevolezza della mia disabilità.

Però la sorte ti ha nuovamente giocato un brutto scherzo...

Mi allenavo con loro, seguivamo un programma intenso e impegnativo, la disabilità non era una scusa per rendere di meno. Sono stati i tre anni più belli della mia vita. Ho esordito anche nelle prime competizioni internazionali con un obiettivo da inseguire: le Olimpiadi di Pechino 2022. Ma l’anno precedente alla manifestazione a cinque cerchi ho avuto un gravissimo incidente in allenamento, mi sono rotta il ginocchio e sono andati in frantumi anche i miei sogni e le mie speranze. Lo sport che amo, la mia passione però è stata nuovamente l’ancora cui aggrapparmi e che mi ha salvato di nuovo dal baratro.

In che senso?

Dopo l’infortunio ho voluto dimostrare a me stesso e agli altri che potevo farcela, ho messo in campo la stessa mentalità che avevo avuto dopo l’incidente del 2016: avrò anche perso un pezzo del mio corpo, ma la testa e il cuore sono sempre gli stessi. Ho ripreso ad allenarmi convinta di poter tornare a sciare come un atleta normodotato e quest’anno ho ripreso a gareggiare anche nel circuito nazionale della Coppa Italia: ho vinto tutte le otto tappe e  sono stata premiata durante un evento della Federazione sciistica a Treviso. A consegnarmi il premio è stato un campione come Dominik Paris.

Come si concilia la tua vita con le terapie, gli allenamenti e le competizioni?

La mia disciplina richiede grande potenza e un allenamento costante. Ho un preparatore atletico che mi segue, Pablo Ayala, con cui mi incontro una volta a settimana. Mi alleno due ore al giorno, tra palestra e una bicicletta da corsa che utilizzo sui rulli in casa. In tutto ciò ho le terapie, le visite, gli interventi chirurgici programmati e l’università: attualmente studio Ingegneria gestionale a indirizzo medico. Tenere in equilibrio tutto non è facile, richiede molto sacrificio. Anche da un punto di vista economico.

Che considerazione ha la società per il mondo paralimpico?

E’ molto difficile essere un’atleta disabile. Anche frequentare una palestra è complesso perché i gestori dicono che non hanno le giuste polizze assicurative o il personale competente. Anche se io faccio tutto da sola. Quando vado in piscina, per esempio, ho solo bisogno dell’aiuto del bagnino per mettere la cuffia. Per non parlare poi della questione economica. Per inseguire il mio sogno posso contare solo sulle mie risorse e su qualche sponsor al mio fianco.

Se tu avessi la macchina del tempo, torneresti a prima dell’incidente?

E’ una domanda che mi sono fatta tante volte. Ho passato momenti di grande sofferenza, mi sono resa conto che la vita cambia in un secondo. Le certezze crollano come un castello di carte. Oggi penso che la mia risposta sarebbe “no”, non tornerei indietro, perché nonostante la menomazione ho davanti a me un futuro ricco di opportunità. Inoltre nel percorso che mi ha portato sino a qui ho conosciuto persone speciali che mi hanno accettata per quella che sono, anche se con una menomazione. Mi sono resa conto che posso fare qualcosa di grande, posso essere felice anche se con un pezzo del mio corpo in meno.

E per il futuro sportivo, quali obiettivi ti sei posta?

Un traguardo ce l’ho, ma preferisco tenerlo per me. Sicuramente punto a crescere ancora e a migliorare tecnicamente. Voglio tornare ad altissimi livelli anche nel panorama internazionale, magari nel circuito della Coppa del Mondo.

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