Sanità pubblica

E' ora di "rivalutare il medico di famiglia", a parlarne una professionista

Anna Carla Pozzi, dottoressa di Pioltello e segretaria provinciale della cooperativa Iml, ha analizzato la situazione dei dottori di base

E' ora di "rivalutare il medico di famiglia", a parlarne una professionista
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Tra Rodano e Pioltello ci sono dodici aree carenti, ciò significa che allo stato attuale manca una dozzina di medici di famiglia. Un problema diffuso, che dilania la società da mesi in Adda Martesana, e non solo.

Mancano dottori anche a Pioltello e Rodano

La conseguenza più immediata della penuria dei medici di base sono pesanti problematiche per i pazienti, ma anche ripercussioni per i professionisti che per tamponare la situazione si fanno carico di un numero maggiore di persone da seguire. Una situazione la cui soluzione per il momento appare un miraggio.

E per vari motivi un numero sempre maggiore di medici di famiglia appende lo stetoscopio al chiodo, chiude l’ambulatorio e sceglie di passare in corsia piuttosto che proseguire nell’attività in libera professione.

Lo racconta un'esperta

Ha denunciato la situazione la dottoressa Anna Carla Pozzi, medico di base al Satellite e segretaria provinciale della Cooperativa Iniziativa Medica Lombarda (Iml).

Recentemente Ats ha bandito un concorso per le aree carenti cui si sono presentate 48 persone, meno del 25% dei posti vacanti. Considerando che alcuni non hanno accettato le destinazioni proposte, il numero finale è ulteriormente diminuito.

A ciò si deve aggiungere la scarsa attrattività nei confronti dei neolaureati che devono scegliere il percorso di specializzazione da intraprendere. Banalmente se invece di prevedere un corso regionale per diventare medico di famiglia ci fosse un percorso universitario post laurea (come già avviene per le altre specialità) si garantirebbe una maggiore dignità al titolo equiparandolo a quello degli altri colleghi.

Vanno considerati i problemi economici

Pesano parecchio sui medici di famiglia i costi «gestionali», come per esempio gli affitti degli ambulatori e i servizi accessori alla professione.

Oggi giorno è impensabile gestire il lavoro e una mole importante di pazienti senza avere una segreteria o un infermiere in servizio nel proprio ambulatorio. Sono costi che ricadono interamente sul medico, senza contare gli aspetti burocratici che si aggiungono alle quotidiane incombenze.

Come cooperativa Iml avevamo proposto alla Regione di darci in gestione le Case di comunità, in maniera che potessimo prendere gli spazi in affitto a canone calmierato e provvedere noi ai servizi accessori richiesti dai medici. La nostra idea è stata scartata.

Ma anche i pazienti ci mettono del loro...

Il vero paradosso è che ciò che ultimamente allontana i professionisti dalla pratica del medico di base è il presupposto indispensabile per l’attività stessa: i pazienti.

Abbiamo riscontrato una crescente maleducazione, intolleranza e impazienza da parte delle persone che si rivolgono ai medici. Spesso siamo vittime di aggressioni verbali e non solo, una situazione che ha fatto abbandonare la professione a tanti bravi dottori arrivati al limite di sopportazione. Difficoltà che vengono lamentate anche dai colleghi ospedalieri, specialmente da chi lavora in Pronto soccorso a stretto contatto con il pubblico.

Da un lato la colpa è da ricercarsi nella presunzione di molti pazienti che, dopo esser informati sul web attraverso ricerche in rete, non si fidano nel giudizio dei medici di base o li reputano dei “passacarte” che devono firmare le ricette sulla base delle richieste del paziente che si è informato su Google.

La creazione delle Case di comunità può diventare un’occasione per ridare vigore alla professione e cercare di rispondere alle esigenze della popolazione che chiede una sanità che sia veramente territoriale.

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