Dalla Serie C al titolo negli Usa: un sogno chiamato calcio per Marco Costa
Da Vaprio d'Adda al successo in Ncaa: la storia di un ragazzo che non ha avuto paura di mettersi in gioco
Articolo di Fabio Alampi
Da Vaprio d'Adda agli Usa inseguendo il pallone. La storia di Marco Costa, difensore giramondo.
Dall'esordio in Serie C al titolo nazionale Usa
L’esordio in Serie C a soli 17 anni con il Monza, il professionismo con la Giana Erminio, la Serie D tra Caronnese, Borgosesia e Ponte San Pietro. Poi, nell’estate del 2022, la decisione di cambiare vita, trasferendosi negli Stati Uniti per continuare a studiare, ma senza rinunciare alla passione per il calcio.
Una storia, quella di Marco Costa, che incuriosisce e affascina, e che nelle ultime settimane si è arricchita di un nuovo capitolo: la vittoria del 2° Division National Champion Men’s Soccer NCAA, il torneo nazionale delle squadre universitarie americane, con i Lynn Fighting Knights, la selezione della Lynn University of Miami. Un traguardo che il difensore classe ’97, nato e cresciuto a Vaprio d’Adda, ha raggiunto con tanto di fascia di capitano al braccio.
Le ultime settimane sono state davvero speciali per te.
Sono ancora in fase di realizzazione di quello che abbiamo ottenuto con la squadra. Sono state settimane molto intense: nel campionato collegiale si gioca ogni 3 giorni, oltretutto è periodo di fine semestre, ci sono gli esami da consegnare. Un sommarsi di cose che hanno reso il tutto ancor più impegnativo, ma alla fine dal punto di vista scolastico e sportivo ho raggiunto quello che volevo raggiungere. Nella mia squadra c’è un grande mix di culture: siamo prevalentemente europei, c’è un grande gruppo tedesco, ci sono spagnoli, gente di Dubai, brasiliani, argentini, qualche americano… La stagione calcistica qui dura 4 mesi, nel semestre successivo ci sono altri sport. Negli Stati Uniti è possibile conciliare sport e studio ad alto livello. Vincere un campionato nazionale vuol dire arrivare primi su 200 e passa scuole.
Parliamo della tua scelta di lasciare l’Italia e di trasferirti negli Stati Uniti. Come è nata questa opportunità?
Gioco a calcio da quando ho 5 anni, ho fatto il settore giovanile tra Tritium, Atalanta e Monza, ho esordito in Serie C e ho giocato in Serie D fino a 24 anni. Ho preso la mia laurea triennale in ingegneria: continuare con una magistrale significava lasciare il calcio, e sentivo che avevo ancora voglia di giocare. Nell’estate del 2022 ho sondato questa possibilità di venire negli Stati Uniti, e grazie a quanto avevo fatto nel calcio ho potuto ottenere una borsa di studio che vuol dire tanto, significa poter risparmiare decine di migliaia di dollari all’anno. Ci pensavo già da novembre 2021, poi ad agosto sono partito.
Nonostante tutto questo, il calcio è rimasto parte integrante della tua vita
Una volta arrivato, tramite delle agenzie, sono stato messo in contatto con alcune squadre che erano interessate. Avevo alcune possibilità, ero in contatto con alcuni allenatori, poi ho scelto Boca Raton in Florida e da subito ho iniziato a giocare per questa squadra. Adesso mi sono laureato e non potrò più giocare a calcio con la squadra dell’università: dovrò un po’ accantonare il pallone, ma chiudere così, con 20 vittorie e 2 pareggi in 22 partite e 4 trofei conquistati, rende questa “fine” un po’ meno amara. Adesso lavoro per una compagnia legata al mondo sportivo che realizza abbigliamento, formata da ragazzi che hanno fatto il mio stesso percorso, e sono project manager.
Che calcio hai trovato? Ci sono tante differenze con quello al quale eri abituato?
Qui c’è un calcio più intenso, è un continuo attaccare e difendere, non c’è quella fase di studio che c’è nel professionismo in Italia. Si giocano 90 minuti effettivi, l’arbitro ha il potere di fermare l’orologio, non c’è recupero. Gli allenamenti sono simili, ma qui nelle università e strutture sono di primo livello, che in Italia vedi in Serie A e magari in Serie B. Ci sono palestre, snack bar, vasche con il ghiaccio per il recupero: un ambiente professionista.
Rifaresti tutte le scelte degli ultimi anni? Consiglieresti ad altri ragazzi di seguire il tuo esempio?
Se devo dare un consiglio a un ragazzo di 18-19 anni che si trova in Serie D o Serie C e non sta giocando molto, e vogliono continuare a giocare, venire negli Stati Uniti è la scelta migliore: ti possono aprire opportunità sia a livello lavorativo, che calcistico. Venire qua non preclude che tu non possa diventare professionista: conosco ragazzi che hanno fatto il mio percorso e ora giocano in MLS. Rifarei tutto, non rimpiango le scelte fatte.