Due parole ripetute quasi automaticamente, tra vetrine illuminate, auguri frettolosi e rituali che si ripetono ogni anno. Ma basta fermarsi un attimo, e guardare la realtà che ci circonda, perché quell’aggettivo inizi a scricchiolare.
La riflessione di don Paolo
Che cosa c’è davvero di “buono” in un tempo segnato da guerre, disuguaglianze, solitudini, paure diffuse e da un senso di inadeguatezza che attraversa le persone e le famiglie? È da questa domanda scomoda, tutt’altro che retorica, che nasce la riflessione del parroco di Gorgonzola, don Paolo Zago: un Natale che non rimuove il buio del presente, ma prova ad abitarlo, cercando nel cuore stesso della fragilità umana un segno possibile di speranza.
“Buon Natale”, ci vien detto. Ma quale “Buono”? Quel “buono” così retorico, che ci lascia perplessi e forse anche scettici, sembra davvero fuori luogo.
Quale buono? “Augusto ordinò un censimento su tutta la terra…” dice il Vangelo. Anche oggi i vari Augusto dominano e decidono le sorti dei popoli, litigano tra loro e ci fanno fare guerra. L’economia ne risente per tutti: i prezzi aumentano anche se lo spread scende, le attese in ospedale se non vai privatamente sono infinite perché mancano i soldi anche se per le armi i soldi si trovano.
Quale buono? La cultura individualista ci rende sempre più arrabbiati e litigiosi, sospettosi gli uni verso gli altri. I femminicidi aumentano, i poveri allungano la fila ai centri Caritas, gli adolescenti stanno male e sono sempre più soli in un mondo iper connesso.
C’è anche inadeguatezza, preoccupazione e tristezza.
Quale buono? Si fa strada in noi, appena ci fermiamo a pensare, un senso di inadeguatezza. Ci sentiamo “inadeguati” rispetto alle pretese e alle attese del mondo che ci circonda: inadeguati sul posto di lavoro, inadeguati di fronte al coniuge, inadeguati come genitori o nonni, inadeguati di fronte a Dio e alle pretese della cosiddetta morale cristiana, inadeguati nel ruolo che ci è chiesto di svolgere… E soprattutto non manca mai chi ce lo fa notare!
Quale buono? Abbiamo molti e validi motivi di preoccupazione e di tristezza, molti motivi per rinchiuderci in noi stessi, senza riuscire a percepire attorno a noi segni di speranza e lampi di bellezza
Quale buono? Forse per i bambini che credono ancora alle favole o per gli innamorati che camminano tre metri sopra il celo, ma a per noi adulti… Natale non ci sorprende più, anzi spesso diventa uno stress nel ritmo quotidiano, negli acquisti che si “devono” fare, degli appuntamenti che, lo si voglia o no, “ci toccano”.
E più di tutto il nostro “ego” fatica a lasciare spazio ad altro che non sia il proprio tornaconto o la propria autorealizzazione. “Buon Natale”? L’augurio, proprio per tutto questo, ci sembra estraneo rispetto alla realtà: retorico, se non addirittura falso ed illusorio.
Come può essere “buono” il Natale?
Era così anche ai tempi di Gesù: Augusto decideva e comandava, i poveri subivano, i romani la facevano da padroni, gli intellettuali del tempo imponevano un unico pensiero: Dio era assente, o presente solo nelle volte del Tempio. Ma un “bisbiglio” di Dio è entrato nella storia: un Dio si fa carne, uomo. E non nel tempio, ma nella grotta delle povere bestie della storia, tra gli ultimi e i reietti. Un Dio viene avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia.
Un “bisbiglio”: nessuno se ne accorge, nessuno se ne interessa, se non quei “poveri cristi” che si sentono oppressi ed inadeguati. Dio entra, sceglie la cruna di un ago per trovare spazio, a Betlemme, la periferia della grande Gerusalemme, al di fuori del santo monte Sion: la periferia diventa il centro. Forse era così anche per Maria: adolescente “inadeguata” a diventare madre del Messia. Ma proprio attraverso questo suo essere “inadeguata” si manifesta Dio. La sua inadeguatezza diventa lo squarcio, la “cruna dell’ago” attraverso cui passa l’amore di Dio, un amore che previene e sorprende sempre.
Dio stesso si fa dono di comunione: per questo non sarà mai sola, né le né quell’umanità che si sente tanto inadeguata, ma potrà sempre contare sulla sua presenza. Il figlio che nascerà sarà il segno di questa promessa di comunione, il suo nome infatti sarà Emmanuele, il Dio con noi.
La riflessione si estende anche a noi.
Anche per noi: il nostro sentirci “inadeguati” può diventare a Natale la “cruna del nostro ego”, attraverso cui il Signore può entrare, non con violenza, ma come un “bisbiglio”. Saperci amati e poter riconoscere accanto a noi la presenza di Dio, può diventare motivo di gioia e di grande fiducia.
Attraverso “la cruna dell’ego” possiamo percepire la bellezza di un annuncio d’amore e di comunione: si allontana da noi il senso di solitudine e di abbandono, e ci viene donata la certezza che la nostra vita è preziosa.
È per questo che la gioia diventa un compito, perché chiede di essere condivisa. Nell’amore donato e nella vicinanza a chi si sente solo, possiamo fare nostra la gioia del Natale e possiamo donarla anche ad altri, magari solo dicendoci reciprocamente “Buon Natale”. Che questa parola ritrovi spessore e bellezza: il “buon Natale” ci accompagni oltre queste feste, e la vicinanza di Dio ci renda capaci di comunione autentica.
Buon Natale, a tutti e a ciascuno
Don Paolo e i sacerdoti della Comunità pastorale di Gorgonzola