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Il 27 luglio 1993 la strage in via Palestro a Milano

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani: "Promuovere la ricorrenza del 27 luglio nelle scuole"

Il 27 luglio 1993 la strage in via Palestro a Milano
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Il 27 luglio 1993, il cuore pulsante di Milano fu squarciato da un'autobomba in via Palestro, dinanzi al Padiglione di Arte Contemporanea. Un atto di barbara violenza che strappò alla vita cinque innocenti: i vigili del fuoco Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l'agente di polizia municipale Alessandro Ferrari, e Driss Moussafir, cittadino marocchino. A trentadue anni di distanza da quella tragica notte, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani (Cnddu) rilancia un appello vibrante e necessario: custodire e trasmettere una memoria troppo spesso marginalizzata, per combattere l'oblio e stimolare una riflessione profonda sul nostro recente passato.

Un disegno eversivo, un attentato ai diritti umani

Via Palestro non fu un episodio isolato. Fu un tassello cruciale di un disegno eversivo e terroristico che, tra il 1992 e il 1993, mirò a destabilizzare le fondamenta stesse della democrazia italiana. Colpire Milano, simbolo di cultura, produzione e progresso, significava non solo ferire il corpo della nazione, ma colpire la sua identità più profonda. Come sottolinea il Cnddu, l'attacco non fu meramente criminale, ma profondamente ideologico, simbolico ed eversivo. In senso stretto, fu un attentato ai diritti umani fondamentali, calpestando il diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà.

La ricostruzione giudiziaria ha offerto risposte importanti, individuando molti dei responsabili e chiarendo dinamiche operative. Eppure, le ombre persistono. Interrogativi inquietanti su possibili coperture, omissioni e ambiguità rimangono aperti, alimentando la sensazione di una verità ancora incompiuta.

Non possiamo accontentarci di verità parziali. Il pieno accertamento dei fatti è un'esigenza etica e civica che riguarda tutti, non solo i familiari delle vittime

È un imperativo morale che l'ordinamento giuridico non può permettere venga soffocato dall'oblio o dalla rassegnazione.

Driss Moussafir: la vittima dimenticata come paradigma educativo

Nel mosaico delle vittime, la figura di Driss Moussafir per il Cnddu emerge con particolare forza e urgenza. Cittadino marocchino, la sua presenza silenziosa su una panchina nella notte milanese si è trasformata, nel tempo, nel simbolo di una vittima "dimenticata", spesso esclusa dalla narrazione ufficiale.

La sua memoria, per il Cnddu, deve diventare un vero e proprio "paradigma educativo". Ricordare Driss significa includere nella narrazione pubblica chi, per troppo tempo, è rimasto ai margini, stimolando una riflessione sull'Italia che "ancora fatica a riconoscere pienamente il valore dell'inclusione e della dignità della persona, al di là della cittadinanza o del ruolo sociale".

È un monito potente contro ogni forma di discriminazione e di negazione dell'umanità.

L'urgenza di una didattica della complessità

Per questo, il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani lancia una richiesta forte e chiara: la ricorrenza del 27 luglio deve essere promossa nelle scuole di ogni ordine e grado attraverso percorsi didattici mirati. Non una semplice commemorazione, ma un'opportunità per "restituire senso alla memoria storica in chiave civica".

È fondamentale ripensare la didattica della legalità, trasformandola in una "didattica della complessità", capace di fornire agli studenti gli strumenti per confrontarsi criticamente con la storia recente, con le sue ombre e le sue fratture.

L'educazione ai diritti umani, come afferma Romano Pesavento, presidente del Cnddu, non può e non deve essere una mera cornice valoriale.

Deve diventare una pratica quotidiana, attenta, consapevole.

Ricordare via Palestro, dunque, trascende il mero esercizio commemorativo. È un atto politico e culturale, che interroga il presente con forza, esigendo risposte all'altezza della dignità di quelle vite spezzate. È un richiamo costante all'impegno collettivo per una società più giusta, consapevole e capace di imparare dalle proprie ferite più profonde.

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