Processo sulla "Setta delle Bestie": una sola condanna e tante prescrizioni
Sei anni per violenza sessuale a un imputato. Il pm ne aveva chiesti 230 per tutte le 26 persone rinviate a giudizio: tra loro anche una psicologa di Brugherio
Oggi, venerdì 10 gennaio 2025, al Tribunale di Novara, il giudice si è espresso su una vicenda giudiziaria che ha fatto molto discutere in questi anni e che ruotava attorno alle cosiddetta "Setta delle Bestie".
Una sola condanna e una pioggia di prescrizioni
Una sola condanna a 6 anni per il reato di violenza sessuale e nessuna condanna per gli altri 25 imputati. In alcuni casi si è trattato di assoluzione "perché il fatto non sussiste", in molti altri però è entrata in gioco la prescrizione.
Così, in attesa della pubblicazione delle motivazioni, si è espressa la Corte di Assise novarese. Ne parlano anche i colleghi di Prima Novara.
Il pm ha già annunciato l'intenzione di ricorrere in appello: per uno degli imputati, una psicologa 42enne di Brugherio, era stata chiesta una condanna a 18 anni, su un totale di 230 per i complessivi 26 imputati. Il tutto al termine della lunga requisitoria divisa in due parti e che era servita per ripercorrere le tappe di una vicenda descritta come drammatica. Il pubblico ministero titolare del fascicolo aveva invocato la condanna di quasi tutti gli imputati con pene comprese tra i 7 e i 18 anni di reclusione, a seconda della posizione nel gruppo, insieme al sequestro di tutti i beni di loro proprietà.
Il processo, svoltosi interamente a porte chiuse, era iniziato nel febbraio 2023. Un processo che aveva fatto emergere grazie a diverse testimonianze uno scenario decisamente inquietante fatto di violenze e abusi.
La condanna più elevata era stata chiesta per le presunte organizzatrici dell’associazione, due psicologhe (compresa la brugherese) e per l’ex convivente del capo della cosiddetta setta.
Dal canto loro gli avvocati di parte civile Silvia Calzolaro e Marco Calosso, difensori di tre vittime, avevano manifestato soddisfazione per le richieste di pena formulate dalla pm.
Quei presunti abusi nei boschi del Novarese
In questi mesi in aula sono stati ricostruiti quarant’anni di presunti abusi, anche ai danni di ragazzine, avvenuti tra i boschi di Cerano, dove c’era la cascina nascosta da una fitta vegetazione ritenuta base centrale dell’organizzazione, ma anche altrove, in scuole di danza, di spada celtica ed erboristeria o alloggi a Pavia, Genova, Milano, Vigevano e Rapallo.
Un castello accusatorio gravissimo, corroborato da materiale probatorio ritenuto solido, da riprese video e dalle tante testimonianze, una trentina circa, delle vittime che si erano costituite parte civile.
I professionisti rinviati a giudizio
Ventisei, invece, le persone finite nei guai e rinviate a giudizio, per lo più professionisti (psicologi, insegnanti, editori e altro) lombardi residenti tra Milano e diversi centri della sua cintura, il Pavese, il Varesotto e il Bergamasco, che rispondevano a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla schiavitù e a ripetute violenze sessuali anche su minore.
A capo di tutto, in base a quanto ricostruito da Procura e Polizia di Stato, c’era l’erborista con attività nel quartiere San Siro di Milano Gian Maria Guidi, 79 anni, morto per malattia il 15 marzo 2023.
Per gli inquirenti le giovani donne erano oggetto di sistematici stupri, pestaggi, torture, manipolazioni mentali e minacce di morte. Per le vessazioni corporali e psicologiche venivano utilizzati strumenti che sono stati poi trovati custoditi negli immobili oggetto dell’indagine.
La tesi della difesa
Per gli imputati, invece, che hanno parlato ancora di recente rendendo dichiarazioni spontanee, non ci sarebbe stato alcun abuso: "Abbiamo dato vita a una grande famiglia allargata, dove a regnare erano armonia, filosofia e amore", hanno sostanzialmente detto. E, se c’era sesso, hanno aggiunto, era consenziente, al massimo fatto con qualche pratica poco usuale.
Il via alle indagini
L’inchiesta era nata dalla denuncia di una ragazza oggi 36enne che vive nel Braidese, finita nella Setta quando di anni ne aveva 7 e convintasi a denunciare con il sostegno dell’associazione saviglianese "Mai+Sole".