RASSEGNA

Melzo Incontra, riscoprire la felicità nel quotidiano attraverso lo "sguardo" dell'altro

L'intervento di Silvio Cattarina, sociologo e psicologo fondatore della comunità terapeutica educativa per minori devianti e tossicodipendenti L’imprevisto e alcune ragazze della comunità

Melzo Incontra, riscoprire la felicità nel quotidiano attraverso lo "sguardo" dell'altro
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Una testimonianza toccante, densa di sofferenza ma anche di riscatto e voglia di ricominciare. Silvio Cattarina ha dialogato con il pubblico della sala Banfi dell'oratorio di Melzo che ieri, 9 settembre 2024, lo ha accolto insieme alle ragazze della comunità terapeutica educativa per minori devianti e tossicodipendenti L’imprevisto.

Melzo Incontra Silvio Cattarina e la comunità L'imprevisto

Lo psicologo e fondatore della comunità L'imprevisto, Silvio Cattarina, ha analizzato il concetto della felicità, tema della rassegna melzese.

Quando ho iniziato il mio percorso insieme ai ragazzi mi scandalizzava tutto questo dolore e sofferenza di cui si facevano portatori. Col tempo ho scoperto che ciò che cercavo era un cuore nuovo. Il più povero e bisognoso in realtà, ero io. Ho cominciato a dire loro che si può sempre ricominciare, non si è legati al passato. E poi che si può volersi bene e aiutarsi. La cosa verso cui si ribellavano è questa. Hanno idea di essere soli contro tutto e tutti. Ciò che fa soffrire non è il passato, ma il presente. Se nel presente non c’è un grande incontro, una chiamata o un imprevisto, appunto, non c'è un motivo per cui spendere la propria vita.

L'impegno degli educatori allora si declina secondo tre principali punti.

Il valore della persona, della realtà e il perché siamo al mondo. Se lavoriamo su questi aspetti, il volto dei ragazzi si illumina. Chiedo sempre quale sia la cosa più preziosa che c’è al mondo e nessuno risponde "Io, la mia persona". Accanto a ciò, ci sono la vita e la realtà. I ragazzi pensano che non ci sia nulla che valga la pena, ma mi arrabbio perché il bene è sempre più grande di qualsiasi grande male. La realtà è piena di doni, aiuti e incontri.

E poi la riflessione si è estesa a un concetto più ampio.

La libertà non è solo essere liberi di scegliere. La vera libertà è un atto di ammissione. Tutto quello che il cuore cerca c’è. È il fatto che ci sia qualcosa. La felicità è desiderare quello che c’è, l’infelicita quello che non c’è. Il problema infatti non è il male ma il fatto che non conosciamo il bene.

Le testimonianze delle ragazze della comunità

Accanto allo psicologo, si sono sedute al tavolo tre giovani ragazze che hanno portato la propria storia all'attenzione del pubblico melzese.

Sofia, 17 anni in comunità da 7 mesi - Ho iniziato a fare uso di sostanze a 12 anni, mi sentivo sola perché allontanavo gli altri. Tendevo ad anestetizzare il dolore. A 15 anni poi sono finita in carcere. Pensavo di esserne uscita e poi sono ricaduta. Ho scoperto di avere un valore a L'imprevisto, così come pensavo di aver perso la dignità. Si può vedere la vita con uno sguardo diverso, qui l’ho riscoperta. Adesso posso dire di essere felice, prima trovavo la felicità solo nella droga. Invece sta nelle piccole cose, anche nel sorriso di un operatore. Ho sempre visto le comunità come quattro mura, con loro però sto riscoprendo cos’è la vita e la felicità, mi sento libera.

Margherita, 31 anni in comunità da 4 mesi - Stasera è come rincontrare qualcuno, sentendo Silvio e Sofia parlare. Dentro la realtà c’è un volto che ti cerca. Sono entrata in comunità per disturbi del comportamento alimentare, è sempre stato latente fino a quando dopo l’università non mi era più chiaro perché fossi al mondo. Parlando del passato cresceva un grande rancore. Poi sono entrata a L'imprevisto. Ho trovato uno sguardo su di me, all’inizio mi stava un po’ stretto ma sta crescendo in me l’idea che io possa avere un valore.

Imma, 25 anni in comunità da 1 anni e mezzo - Il problema era legato all’alcol, ma sotto si nascondevano solitudine e dolore. Ho subito un abuso e molestie a 6 anni e poi sofferto di bullismo. Volevo essere invisibile, ma allo stesso tempo cercare di farmi vedere agli occhi dei miei genitori. Ho vissuto sempre con insicurezza e paura di chiedere aiuto. Un giorno ho avuto la forza di entrare in comunità. Mi ha colpito lo sguardo degli operatori, che dà valore e riscatta, sincero e autentico. Lentamente ho cominciato a togliere le maschere che mi sono costruita.

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