Visite in Terapia intensiva: un beneficio per i malati e per i familiari
Il direttore della Rianimazione dell'ospedale Uboldo di Cernusco dottor Zambon ha parlato della gestione degli accessi nel reparto
La cronaca nazionale spesso e volentieri racconta di episodi di violenza che hanno per vittime il personale ospedaliero che viene "malmenato" o insultato dai familiari delle persone ricoverate. Alla maleducazione e alla prepotenza non c’è rimedio, ma le paure e lo stato d’ansia che alle volte fanno degenerare le situazioni possono essere tenute a bada. E la proposta del direttore dell’Unità operativa complessa di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Uboldo di Cernusco, il dottor Massimo Zambon, mira a combattere questi fenomeni aumentando le occasioni di interazione tra pazienti, visitatori e personale ospedaliero.
Terapie intensive aperte
Le Terapie intensive, più comunemente note come "Rianimazioni", sono per definizione quei reparti dove si trovano i malati più gravi: questo perché hanno a disposizione le tecnologie per monitorare i parametri in continuo, le apparecchiature per mantenere le funzioni vitali (ad esempio respiratori polmonari per la ventilazione meccanica) e il personale medico ed infermieristico sempre presente giorno e notte.
Nel passato l’accesso a familiari, amici, compagni per visitare i pazienti critici era estremamente limitato, quando non completamente interdetto. Questo perché si pensava di proteggere i pazienti durante la fase più critica della malattia e di evitare al massimo interferenze con il lavoro del personale sanitario. È stato invece dimostrato da numerosi studi scientifici che l’allargamento degli orari di visita non solo non è in alcun modo pericoloso per i pazienti, ma anzi ha diversi effetti benefici. Riduce il senso di abbandono e di paura che può provare il malato in Rianimazione, riduce il disorientamento e le fasi di delirio che spesso possono presentarsi durante il ricovero, aumenta in generale la tolleranza alle terapie. Inoltre è stato dimostrato che riduce lo stress e l’ansia degli stessi familiari, che dall’esterno vivono una condizione di impotenza per quanto sta accadendo ai propri cari.
La gestione dei parenti
Un’altra ragione (o forse meglio dire un’altra scusa…) per cui le visite in Terapia intensiva erano limitate era che con alcuni parenti meno "educati" potevano nascere dei conflitti che in alcuni casi interferivano con il lavoro del personale medico-infermieristico. Niente di più falso: al contrario, si è visto che permettendo ai familiari di stare più tempo con i propri cari i conflitti si riducono. Il motivo è facilmente comprensibile: spesso l’attesa logora e dall’esterno, senza sapere cosa sta succedendo, in ansia per la gravità delle condizioni dei nostri cari, è facile lasciarsi convincere che il proprio congiunto non sia trattato adeguatamente. Invece stando all’interno e vedendo direttamente quanto lavoro e quanta dedizione c’è per il malato aumenta la fiducia verso il personale medico e infermieristico. Anche quando le condizioni del malato sono troppo gravi e purtroppo le cose vanno male, i familiari hanno visto che si è fatto tutto il possibile e non cercano colpevoli nel personale o in se stessi.
Ingresso libero, ma con delle regole
Ben inteso, liberalizzare l’ingresso in reparto non significa che questo avvenga senza regole. La persona che viene a trovare il proprio caro deve osservare alcune precauzioni, dal lavaggio delle mani all’eventuale vestizione con camice e guanti se il paziente è in isolamento. Si entra non più di una persona alla volta. Non si toccano le apparecchiature, si può stare solo vicino al proprio caro e si deve pazientare se c’è un’emergenza in corso e il personale è occupato.
Il caso di Cernusco sul Naviglio
Nella Terapia intensiva di Cernusco abbiamo sempre considerato il rapporto con amici e familiari come una parte della terapia stessa. Per questo motivo siamo storicamente tra le prime realtà ad aver esteso gli orari di apertura: tutti i giorni dalle 13.30 alle 21. Anche quando ci siamo scontrati con le restrizioni imposte dal Covid abbiamo cercato di permettere la comunicazione con i familiari, prima procurandoci dei tablet per permettere le video chiamate, poi cominciando a far vestire i familiari come ci vestivamo noi e a farli entrare. Nessun contagio è avvenuto da un paziente a un familiare o viceversa durante la degenza in reparto, mentre abbiamo potuto far sentire un po’ meno soli i nostri malati.