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La strada che porta da Cernusco a Parigi nel racconto de La Trappola

Attraverso la musica rap i ragazzi hanno raccontato la loro storia durante la prima proiezione del cortometraggio presso la Casa delle arti

La strada che porta da Cernusco a Parigi nel racconto de La Trappola
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"La strada è come una trappola, o ne esci, o ci muori dentro". Questo l’incipit e l’epilogo de La trappola, il corto girato tra il quartiere  Tre torri di Cernusco sul Naviglio e Parigi. Cortometraggio che ha acceso la platea della Casa delle arti ieri sera, venerdì 28 aprile 2023.

La Trappola a Cernusco

È stata, infatti, proiettata all’auditorium cernuschese la prima del cortometraggio La trappola. L’autoproduzione del regista 18 Carati, supportata dal Centro di aggregazione giovanile cernuschese Labirinto, dal quartiere Tre torri, è il sequel del primo capitolo, elaborato e girato durante il periodo del primo lockdown e nominato La tela.

Il filo rosso tra i due film, è la strada, con le scelte che si possono intraprendere lungo la stessa, che portano spesso a perdersi e non ritrovarsi, ma, a volte, al successo. Il tutto in un melting pot, che unisce un mix di culture e origini differenti, dalle tonalità calde dell’identità marocchina, a quelle dalla trama intricata dei sobborghi parigini, fino ad arrivare a quelli più famigliari di Cernusco sul Naviglio, snocciolandosi attraverso vicoli e scenari underground. Questi ultimi, i luoghi protagonisti della pellicola, insieme all’attore Andre Tyson e i rapper Villabanks, Boroboro e Neves, presenti in sala alla prima e co-protagonisti durante le riprese e all’interno della colonna sonora del film.

Giovani in prima fila

"Non sono stati soli, durante il periodo di shooting, tutte le realtà e le generazioni del quartiere cernuschese, attorno al fulcro di piazza Ghezzi, hanno partecipato ed hanno contribuito alla creazione che risulta, così, un prodotto corale", ha affermato Matteo Sorice, coordinatore del Cag cernuschese Labirinto, che ha aggiunto: "Il centro è presente e attivo da trent’anni sul territorio e si occupa delle difficoltà che possono incontrare i giovani lungo il loro percorso, così come l’offerta di un’alternativa, simboleggiata da questo cortometraggio, che parla di strada, di comunità".

Il rap per veicolare un messaggio

Il rap come strumento per veicolare un messaggio, o come motivazione per proseguire tra le righe, o a voce alta, tra le battute della vita. Presente in sala anche Stefano Cesana, dell’associazione 232, che si occupa di interventi nei carceri minorili, attraverso proprio il canale musicale e don David Maria Riboldi, de La valle di Ezechiele, il quale lavora nel reinserimento sociale degli ex detenuti, come possibilità alternativa alla detenzione e al recupero dell’individuo, con e oltre le proprie difficoltà.

Gli errori possono rappresentare anche una possibilità di crescita, è quello che noi cerchiamo di trasmettere con questi film e interagendo con i ragazzi della zona, ma anche con le altre generazioni. La dimensione del quartiere per me è importantissima, rappresenta una piccola comunità in cui si trova uno spazio di e per tutti. Il lavoro che facciamo con il Cag può rappresentare la scelta di lottare per le proprie passioni e portarle avanti. Finché si sogna senza far nulla per realizzarlo, un sogno resterà sempre tale, ma un desiderio su cui si lavora e in base al quale si fanno delle scelte, può cambiare la vita

ha detto l'attore protagonista Andre Tyson

Gli altri ospiti hanno colto l’occasione per enfatizzare il concetto di scelta. Stefano Cesena dell’associazione 232, ha infatti detto: "Queste parole sono fondamentali, se se ne parlasse in questi termini, probabilmente non dovremmo più affrontare le situazioni in cui lavoriamo all’interno del carcere Beccaria. Soprattutto riguardo l’idea di errore: è essenziale vederlo come una possibilità di crescita e non come un punto di deriva, con la speranza e la volontà di poter cambiare le cose".

Successivamente, don David, già coadiutore a Cernusco, si è agganciato al tema, proseguendo: "La cosa peggiore è l’abbandono e la solitudine in cui viene lasciato chi ha commesso un errore. Una volta uscito dal carcere, l’individuo viene emarginato, evitato, identificato come prodotto sbagliato della società, come qualcuno da evitare. È ciò per cui la nostra associazione si batte, quella della possibilità di recupero, dell’errore come punto di ripartenza e non di fine".

 

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